A cura di Renato Sansone
Nelle forme del paesaggio attuale è impressa la storia di milioni di anni di trasformazioni della superficie del nostro pianeta. Il profilo di una valle, i meandri di un fiume, la struttura di una catena montuosa, la sabbia di una sterminata distesa arida: sono sempre il risultato dell’azione di precisi fattori endogeni ed esogeni, spesso riconoscibili con grande esattezza.
Cominciamo da oggi uno studio approfondito sugli aspetti geologici e climatici dei vari paesaggi della Terra, partendo da quello che occupa 29 milioni di Km quadrati (circa il 20% delle terre emerse): il paesaggio desertico.
Sahara vuol dire “la pianura”, ma anche “il vuoto”, ed è questa la sensazione più immediata suscitata da un deserto: una terra disabitata, quasi priva di vita, un’immensa solitudine.
I paesaggi desertici sono legati esclusivamente al clima: essi si sono sviluppati e persistono in quelle regioni della Terra in cui l’umidità è scarsissima e l’acqua in superficie è praticamente assente. Esclusa l’Europa, esistono grandi deserti in tutte le parti del mondo: alcuni sono caldissimi, altri con inverni gelidi, altri ancora nebbiosi; certi deserti sono circondati da catene montuose, altri sono lambiti dal mare; alcuni offrono distese di sabbia ondulata, altri pianure di roccia compatta, altri ancora sono frastagliati da alti picchi; molti sono sorti su antichi fondi marini emersi, oppure hanno preso il posto di vasti laghi scomparsi. Ma tutti sono nati dove il clima è diventato arido.
I deserti sono distribuiti in numerose singole aree di varia estensione distribuite grosso modo lungo le 2 cinture a Nord e a Sud dell’equatore, nelle zone temperate e calde della Terra. La fascia equatoriale con le sue precipitazioni abbondanti e costanti, impedisce l’unione delle 2 cinture.
Le alte pressioni sulle zone calde tropicali vi determinano un soffio costante di aria fredda che, discendendo sui continenti, si riscalda e secca ogni traccia di umidità, favorendo anche una maggiore insolazione e un intenso riscaldamento del suolo. Le precipitazioni sono ridottissime o addirittura assenti per lunghissimi periodi. Le rare piogge si concentrano in periodi brevissimi: violenti acquazzoni localizzati capaci di riempire improvvisamente le valli secche con piene improvvise, che il suolo riarso assorbe rapidamente. La temperatura raggiunge valori altissimi, ma soprattutto l’escursione termica sia diurna che annuale è fortissima (alterando fortemente le rocce).
Nelle zone temperate gli stessi effetti di inaridimento sono provocati, dai venti occidentali. Questi investono i continenti carichi dell’umidità raccolta sugli Oceani e se ne liberano sotto forma di precipitazioni; man mano, però, che avanzano verso l’interno delle masse continentali per migliaia di Km, le masse d’aria si seccano e compare il clima arido, caratterizzato, a queste latitudini, anche da una stagione fredda.
Analoghe conseguenze provoca la presenza di una catena montuosa disposta trasversalmente rispetto alle correnti aeree umide, che nel risalire i rilievi, perdono la loro umidità e scendono lungo il versante opposto ormai secche: è nato così il deserto della Patagonia, al riparo della cordigliera andina meridionale. La presenza di catene montuose influisce sia nel modo precedentemente descritto, sia facendo diminuire la temperatura nei deserti che si sviluppano su altipiani, spazzati da venti gelidi.
Qualunque siano i motivi che portano alla degradazione arida di un clima, il risultato è lo stesso:
– precipitazioni scarse (<200 mm)
– temperature elevate con forti escursioni
– vegetazione rara o assente
In queste condizioni l’acqua ha scarsissime possibilità di modellare il paesaggio e, allora, l’unico padrone rimane il vento.
Quando la superficie terrestre, non protetta dalla vegetazione nè dall’umidità, viene spazzata dal vento, nubi di sabbia e polvere si innalzano per centinaia di metri; i granelli di sabbia più grossolani possono percorrere decine di Km, quelli più fini e leggeri (silt) anche centinaia di migliaia. L’azione del vento che asporta materiale sciolto di piccole dimensioni (deflazione) pulisce i rilievi e porta ad affiorare la roccia nuda, priva di quel mantello di alterazione che costituisce in condizioni normali il suolo: si forma così il deserto roccioso (hammada).
Dove il vento incontra, invece, pianure formate da sabbia e ciottoli (come antiche piane fluviali), i frammenti grossolani vengono lasciati in posto e si forma un vasto mosaico di ciottoli: è il deserto sassoso (reg o serir). Ma il vento è anche un ottimo abrasivo: un’auto esposta senza riparo ad una tempesta di sabbia, si ritrova con i vetri smerigliati!! Questo fenomeno però non è capace di formare grandi forme, come le vallate.
Ma il paesaggio arido ha anche un altro volto, sicuramente più familiare: quello delle distese di sabbia, con limite solo l’orizzonte. Non tutti sono a conoscenza che questo volto rappresenta solo una parte minore del deserto del Sahara (30%), mentre in quelli americani è solo del 2%. La loro presenza è dovuta essenzialmente dall’instaurarsi di un clima arido più che al vento, come sedimenti di vasti bacini un tempo costellati di laghi (deserto del Kalahari)o di fondi marini emersi (Austalia meridionale).
L’azione del vento è invece fondamentale per rimaneggiare continuamente il materiale, rimodellando continuamente la superficie. Dove la sabbia è abbondante il vento modella ondulazioni anche molto alte: sono i campi di dune Le dune non sono forme esclusive del deserto, ma si possono formare ovunque il vento possa aggredire accumuli sabbiosi, come molti litorali. Se il vento è costante, come nei deserti tropicali battuti dagli alisei, la forma della duna è caratteristica. Il fianco a riparo dal vento, assume una pendenza maggiore, e viene chiamato pendio di riposo naturale della sabbia. Esistono varie forme di dune:
– a mezzaluna (barkane)
– lunghe catene sabbiose separate da corridoi (Gassi)
– a forma di S per venti variabili (Sif)
– cristallizzate (dune morte)
L’altezza max misurata di una duna è stata di 200 m dalla base (nel Sudan e in Iran). Oltre queste dimensioni l’accumulo di sabbia smette di accrescersi. Ma tutta “la struttura” può spostarsi in modo integro anche di 10 m all’anno, in quanto i granuli risalgono il versante più dolce e ricadono verso quello riparato.
Venti forti che spirino a lungo possono spingere le dune sino a soffocare le palme di un’oasi, mentre ai margini del deserto piccoli villaggi possono rimanere sommersi dalla sabbia.
FINE PRIMA PARTE
Bibliografia
– Natura, la vita e lambiente (editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas S.p.A., milano)