Terrremoto: effetti locali eccezionali ed impatti devastanti causati da simultanee azioni di onde P ed S, sui manufatti nelle aree epicentrali

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Le indagini multidisciplinari eseguite nelle aree epicentrali di recenti sismi hanno consentito di individuare le evidenze di effetti locali definibili eccezionali; sembra che non si trovi traccia di osservazioni di effetti simili nella bibliografia scientifica.

Un esempio, tra gli altri, significativo è stato rilevato e segnalato da Ortolani, Pagliuca e Spizuoco (2009) nell’area epicentrale del sisma aquilano del 6 aprile 2009 a San Demetrio nei Vestini (figura 1).

Un edificio  di tre livelli in calcestruzzo armato presentava i pilastri tranciati nettamente da superfici inclinate di circa 45°.

I pilastri erano verticali e senza cerniere plastiche al piede testimoniando che non avevano subito oscillazioni significative e che essi erano stati tranciati istantaneamente con conseguente scalzamento di tutto il blocco superiore dell’edificio rispetto al piano inferiore.

Tale fenomeno indica che il substrato su cui era fondato l’edificio ha determinato un abnorme effetto locale amplificando gli effetti del sisma.

Il fenomeno, inoltre, unitamente ai riscontri rinvenuti al suolo nell’area di specifico interesse evidenzia che il substrato dell’edificio è stato “investito” simultaneamente da onde P ed onde S che raggiungendo il volume significativo in maniera convergente hanno determinato impressionanti effetti in superficie provocando il tranciamento istantaneo dei pilastri.

Fenomeni simili sono stati rilevati anche nell’area epicentrale del sisma del 1980.

Da sempre la Normativa Tecnica ha previsto che le strutture dovevano essere verificate per resistere ad azioni  sismiche agenti non simultaneamente lungo due direzioni ortogonali tra loro nel piano orizzontale. Soltanto con la recente Normativa del 14 gennaio 2008 è stato introdotta una certa “sensibilizzazione” nei confronti di una sisma diversamente orientato, ma agente sempre e soltanto nel piano orizzontale. Ciò prescindendo dalla effettiva e/o possibile direzione del sisma associata alla sorgente sismica di specifico interesse della struttura da verificare. Soltanto per alcuni importanti manufatti e/o per strutture con travate con grandi luci (es. 20 metri) è previsto di far fronte all’azione sismica verticale, ma in pratica effettuando la verifica sismica della struttura prevedendo un semplice incremento dei carichi verticali.

Ne discende che i manufatti adeguatamente progettati e realizzati (in base alle varie Normative Tecniche che si sono susseguite finora e a quella recentemente emanata), nelle aree potenzialmente epicentrali possono essere interessati da azioni sismiche orizzontali e verticali agenti simultaneamente non previste.

Le implicazioni delle osservazioni sperimentali sono preoccupanti e pongono, a parere degli scriventi, la necessità di riflessioni, specialmente sulla adeguatezza strutturale degli edifici realizzati con “ammortizzatori sismici” in area epicentrale!

Il ruolo degli “ammortizzatori sismici” è quello di isolare l’edificio rispetto al movimento del substrato in relazione ad azioni sismiche diversamente orientate esclusivamente sul piano orizzontale (figura 2). Nessuna verifica è eseguita circa il comportamento degli isolatori sismici qualora fossero sottosposti a violente azioni sismiche oblique che in pratica sono traducibili in attività agenti simultaneamente nel piano orizzontale e verticale come quelle che hanno causato il tranciamento istantaneo dei pilastri dell’edificio di San Demetrio nei Vestini di figura 1.

Figura 3: Schema strutturale tridimensionale di un’area interessata da faglie sismogenetiche che illustra la propagazione di sollecitazioni sismiche in relazione alla migrazione della rottura lungo la faglia crostale. Schema 1: La prima rottura R1 lungo la faglia sismogenetica determina la trasmissione radiale di vibrazioni di tipo P (P1) ed S (S1). Se la rottura si limita all’area R1, sulla superficie del suolo (ad esempio nei siti A1 e A2) giungono prima le onde P e poi quelle S. La migrazione della rottura (MR) verso R2 determina il rilascio di ulteriori vibrazioni (P2 ed S2); conseguentemente nei siti A1 e A2 le onde P2 possono investire la superficie del suolo simultaneamente a quelle S1 e determinare sollecitazioni oblique sui manufatti come ricostruito nella figura 1. Tale fenomeno nei siti caratterizzati da “substrato amplificante” può causare effetti locali eccezionali ed impatti devastanti sui manufatti

Come è possibile che in alcune zone dell’area epicentrale i manufatti possano essere interessati contemporaneamente da onde P ed onde S?

Come è noto la riattivazione di una faglia crostale libera istantaneamente energia potenziale che si propaga come vibrazioni di tipo P che giunte sulla superficie del suolo dell’area epicentrale (allo zenit della faglia sismogenetica) causano movimenti verticali sussultori e vibrazioni di tipo S che provocano movimenti oscillatori sul piano orizzontale. Se lo spostamento della faglia profonda avviene su una superficie arealmente molto limitata, da questa zona si irradiano le vibrazioni P ed S. Le P (essendo più veloci) investono la superficie del suolo prima delle S. Dal momento che la riattivazione della faglia sismogenetica si propaga lungo una superficie lunga diversi chilometri (circa 14 km per il sisma aquilano e circa 40 Km per quello del 1980) causando scorrimenti delle parti a contatto lungo superfici ondulate sia lungo la direzione che lungo l’immersione si verifica che onde P ed S continuano ad essere innescate per varie decine di secondi e minuti fino alla terminazione dei movimenti sismogenetici. Ne consegue che la superficie del suolo dell’area epicentrale mentre è sollecitata dalle onde S delle prime rotture può essere investita dalle onde P rilasciate in varie zone della faglia crostale in seguito alla propagazione degli scorrimenti lungo la faglia sismogenetica (figura 3).

Molti effetti locali eccezionali che caratterizzano le aree epicentrali sono causati dalle condizioni geologiche, stratigrafiche e geotecniche delle rocce che costituiscono le prime decine di metri di sottosuolo. Laddove vi è un “substrato amplificante” si possono avere gli effetti di sito eccezionali in grado di incrementare gli effetti macrosismici di 3°- 4°. Dove vi è un “substrato non amplificante” gli effetti locali sui manufatti sono poco significativi.

Erroneamente, i ricercatori dell’INGV (Istituto Nazionale Geofisica Vulcanologia) hanno comunicato tramite i mezzi televisivi che tutto quello che è accaduto è attribuibile al fenomeno di liquefazione.

Va precisato che è evidente che in alcune zone si è verificato il fenomeno di liquefazione, ma esso si è verificato soltanto là ove erano presenti terreni sabbiosi monogranulari a tensione litostatica ridotta, cioè in presenza di terreni non coesivi con la falda presente nei primi 15 metri di profondità.

I vistosi fenomeni di fratturazione dei terreni, con rigonfiamenti e depressioni, talvolta anche con rigetti decimetrici, verificatisi nell’area epicentrale degli eventi sismici di fine maggio 2012 in Emilia Romagna, erroneamente attribuiti al fenomeno di “liquefazione”, rappresentano un effetto locale eccezionale da attribuire alla mobilizzazione di sedimenti per diverse decine di metri del sottosuolo. Essi possono essere stati esaltati dalla simultanea e devastante azione delle onde P ed S.

Schema strutturale tridimensionale dell’area epicentrale del sisma aquilano del 6 aprile 2009 che mette in relazione gli effetti locali e gli impatti devastanti o insignificanti sui manufatti con le caratteristiche stratigrafiche e geotecniche del sottosuolo e la propagazione della rottura lungo la faglia crostale

La sicurezza dei manufatti e dei cittadini, perciò, nelle aree potenzialmente epicentrali deve essere attentamente e preventivamente valutata, non ricorrendo a soluzioni ingegneristiche che possono rivelarsi non adeguate alle problematiche geoambientali (es. edifici dotati di ammortizzatori sismici). Va quantificata in base ad accurate conoscenze delle caratteristiche stratigrafiche e geotecniche del sottosuolo e non prescindendo dalla tipologia e dall’importanza del manufatto da edificare.

La Normativa Tecnica vigente ha fatto “passare” impropriamente con il supporto istituzionale dei vari “Genio Civile” che le indagini per la caratterizzazione del sottosuolo in prospettiva sismica debbano essere di una determinata tipologia e spinte fino a 30 m di profondità. Fermo restante che la tipologia, l’area e la profondità di investigazione per la caratterizzzazione sismica è, e deve essere materia di esclusiva competenza e responsabilità del professionista estensore dell’elaborato richiesto dalla Norma, ciò andrebbe attentamente “riconsiderato” specialmente per le aree potenzialmente epicentrali e per quelle zone che presentano indicatori di una possibile amplificazione sismica locale.

Con la collaborazione del prof. Ing. Angelo Spizuoco, Centro Studi Strutture Geologia Geotecnica, S. Vitaliano (NA)

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