Le probabilita’ e le conseguenze di gravi incidenti offshore ”restano alte” nell’Unione europea, sulla base delle relazioni nazionali e dell’analisi del rischio condotta dalla Commissione Ue nel 2011. E’ quanto spiega la relazione di Ivo Belet, eurodeputato belga (Ppe) responsabile all’Europarlamento del provvedimento sulle nuove norme in materia di sicurezza degli impianti petroliferi e di gas offshore, in fase di discussione in questi giorni. Bruxelles corre infatti ai ripari dopo il disastro ecologico del Golfo del Messico, che ha fatto scattare il campanello d’allarme in Europa. L’obiettivo delle nuove regole e’ assicurare che solo le imprese che avranno i mezzi tecnici adeguati, i piani di emergenza e le risorse per pagare i danni ambientali, nei mari fino ad un limite di 370 km dalla costa, potranno lavorare nelle acque dell’Unione europea. Le misure avranno un forte impatto sull’Italia, al terzo posto nell’Ue per numero di impianti offshore (123) dopo Gran Bretagna (486) e Olanda (181). Complessivamente, nello Spazio economico europeo (paesi Ue piu’ Norvegia, Islanda e Liechtenstein), sono operativi quasi mille impianti offshore, in acque profonde fino a 1.300 metri solo in Norvegia. Questo tipo di attivita’ e’ gia’ presente nei Paesi vicini all’Ue, nell’area meridionale del Mediterraneo, e punta ad arrivare fino all’Artico, un’area estremamente sensibile dal punto di vista ecologico. ”La produzione offshore – prosegue la relazione sul provvedimento – e’ in crescita anche nel Mediterraneo, nel Mar Nero e persino nel Mar Baltico, regioni marine dove alcuni Paesi hanno minore esperienza in materia di legislazione delle operazioni in mare aperto. Eppure, anche nelle regioni avanzate, soprattutto del Mare del Nord, l’azione nazionale non e’ riuscita a raggiungere standard comuni e a garantire la comparabilita’ dei dati”. Secondo le analisi del settore della Commissione europea, le perdite economiche e i danni dovuti a incidenti offshore nel settore degli idrocarburi nell’Unione europea sono ”mediamente quantificabili fra i 205 e 915 milioni di euro” l’anno.
Il Mediterraneo sta diventando nuova terra di conquista per i pozzi offshore di gas e petrolio. Di qui la preoccupazione dell’Organizzazione mondiale per la conservazione della natura (Iucn) e dell’ong Oceana, perche’ arrivino rigide regole di sicurezza. Il Mar Mediterraneo, che include il bacino delMediterraneo, le isole Azzorre, le isole Canarie e Madeira, costituisce una delle 34 aree critiche a livello di biodiversita’ del Pianeta (i cosiddetti ‘hotspots’). L’Assemblea dell’Iucn, insieme ad altre 16 organizzazioni, chiede quindi agli Stati membri rivieraschi di prendere serie misure di sicurezza sul fronte delle trivellazioni offshore, come quella di non consentire autorizzazioni laddove sono possibili impatti in vicini siti naturali di importanza nazionale o internazionale. Oceana ha gli occhi puntati sull’iter della legislazione europea in via di approvazione, che avra’ un impatto anche nel Mediterraneo: preme perche’ le regole Ue prendano la forma di un regolamento e non di una direttiva e perche’ si accertino adeguate capacita’ finanziarie dell’operatore prima che questo riceva l’autorizzazione, in caso debba farsi carico dei danni di un grave incidente. Fra le altre richieste, c’e’ un ruolo piu’ forte dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima, che potrebbe occuparsi dell’applicazione delle norme, ma anche regole piu’ rigide per l’Artico, con una moratoria delle attivita’ finche’ non esisteranno tecnologie efficaci in condizioni cosi’ estreme. Le aziende Ue inoltre dovrebbero applicare anche al di fuori dell’Ue gli stessi standard di sicurezza. ”Ci sono oltre 140 impianti offshore – spiega Nicolas Fournier di Oceana – che operano nelle acque Ue del Mediterraneo e diversi progetti di esplorazione vengono segnalati in Spagna, Malta, Cipro, o Grecia”. Anche i Paesi extra-Ue, spiega Fournier, sono interessati: ”al largo delle coste di Algeria, Tunisia, Croazia, Egitto, Israele, Libano o Libia. Il bacino orientale del Mediterraneo e’ quello piu’ in discussione, con le tensioni fra Libano-Israele, Turchia-Cipro-Grecia”. ”A causa delle delicate condizioni ecologiche – afferma l’esperto di Oceana – del Mediterraneo e della minaccia per la vita marina e le comunita’ costiere, costituita dalle attivita’ offshore per gli idrocarburi, Oceana e’ fortemente contraria alle trivellazioni e si occupa con grande attenzione della regione”.
La presidenza dell’Ue e’ al lavoro per riuscire ad arrivare all’approvazione delle nuove regole europee di sicurezza degli impianti di gas e petrolio offshore entro la fine del semestre. La conferma arriva da fonti cipriote, secondo cui il dossier ”rientra fra le priorita’ della presidenza” , il cui obiettivo e’ centrare un’intesa fra Stati membri, Commissione Ue ed Europarlamento sul testo che dovra’ essere messo al voto della plenaria dell’Assemblea di Strasburgo. ”L’intenzione – confermano le fonti della presidenza Ue – e’ quella di far avanzare i negoziati per facilitare un accordo in prima lettura”. L’iter pero’ non appare facile, a partire dal primo scoglio formale, cioe’ il fatto che la Commissione Ue abbia proposto un regolamento e invece le altre istituzioni sembrino piu’ propense ad adottare una direttiva. ”Alcuni Stati membri – riferiscono fonti cipriote – hanno messo in discussione la forma legale di questa proposta e la presidenza di Cipro ritiene che la questione vada affrontata per arrivare a reali progressi in tempi adeguati, quindi sta lavorando sul problema”. Le trivellazioni in mare per l’estrazione di idrocarburi interessa di fatto anche la stessa Cipro, che attualmente definisce le sue esplorazioni ”in fase di sviluppo”. I progetti ciprioti hanno creato forti tensioni con la Turchia e non mancano preoccupazioni anche da parte degli ambientalisti di Oceana. Oceana si oppone infatti ai progetti previsti al largo delle coste meridionali nelMediterraneo orientale, in particolare a causa di un’area particolarmente rilevante per il patrimonio natura, quello della montagna sottomarina di Eratostene, nella zona aperta alle trivellazioni. ”Abbiamo inviato – afferma Nicolas Fournier di Oceana – una lettera ufficiale al presidente della Repubblica, i ministri competenti e i funzionari europei, per opporci ai progetti di esplorazioni di idrocarburi, con l’accusa di non rispettare diverse normative Ue”. Secondo Oceana la flora e la fauna della montagna sottomarina di Eratostene sono protette, ma solo dalla pesca in profondita’.
Giorni cruciali all’Europarlamento per la discussione delle nuove regole anti-disastri per i pozzi offshore di gas e petrolio. A un anno di distanza dalla proposta della Commissione Ue, si avvicina infatti il voto del testo in commissione industria del Parlamento europeo. Il compito di trovare la quadra fra i 600 emendamenti presentati e’ del relatore del provvedimento, l’eurodeputato belga Ivo Belet (Ppe), che in occasione del dibattito ha gia’ messo in chiaro in quale direzione vada la maggioranza dell’Assemblea di Strasburgo: le nuove norme prenderanno la forma di una direttiva e non di un regolamento. La differenza sara’ importante: un regolamento prevede norme uguali per tutti gli Stati membri e immediatamente applicabili. La direttiva invece va trasposta nell’ordinamento nazionale, con i relativi tempi e modifiche. ”Dopo il dibattito – afferma Amalia Sartori (Pdl), presidente della commissione industria dell’Europarlamento – appare chiaro che la maggioranza dei gruppi politici propenda per la direttiva, una posizione che sta diventano predominante anche nel Consiglio”. La battaglia su queste norme piu’ che politica e’ nazionale, con i britannici piu’ agguerriti di tutti a guidare il blocco del Nord Europa, mentre al Sud e’ l’Italia ad avere i maggiori interessi, specie per il gas. Il caso vuole poi che a guidare la presidenza dell’Ue attualmente sia Cipro, che sta sviluppando le sue esplorazioni nel Mediterraneo orientale e che considera l’approvazione delle nuove norme una priorita’ del suo semestre. L’obiettivo quindi e’ arrivare ad un accordo entro la fine dell’anno con negoziati fra Commissione Ue, Parlamento europeo e Consiglio Ue (il cosiddetto trilogo), fino all’approvazione nella plenaria dell’Europarlamento in prima lettura. Una volta decisa la forma, rimangono ancora tanti i nodi da sciogliere a livello di contenuto: dalla definizione stessa di ”grave incidente” alla capacita’ tecnica e finanziaria che gli operatori devono assicurare, il possibile ruolo dell’Agenzia per la sicurezza marittima Ue (Emsa), la verifica di piani di rischio e di emergenza da parte di organismi indipendenti, una possibile moratoria sulle trivellazioni nell’Artico, l’applicazione da parte delle aziende Ue degli stessi standard di sicurezza europei anche nelle operazioni extra-Ue. ”Vedo difficile arrivare ad un accordo entro l’anno” afferma Sartori. Ed e’ possibile che il testo alla fine sia ”meno ambizioso” rispetto alle aspettative.