Per gli Ufficiali del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica e per coloro che ne hanno fatto parte in tempi recenti, la cittadina di Erice non è solo un bellissimo luogo di villeggiatura, legato alla storia della Sicilia, ma è qualcosa di più!
Dal 1963 infatti è sede del Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana, istituito per iniziativa del professor Antonino Zichichi, che richiama i più qualificati studiosi da tutto il mondo, per la trattazione scientifica di problemi che interessano diversi settori: dalla fisica alla medicina, dalla storia all’astronomia, dalla filologia al diritto e, perché no, anche alla meteorologia. Per questo alla cittadina è stato attribuito l’appellativo “città della scienza”.
Il Centro è intitolato al fisico siciliano Ettore Majorana, nato a Catania, il 5 agosto 1906 e scomparso in circostanze misteriose il 27 marzo 1938. Esso ha avuto il massimo della sua attività negli anni ’80, quelli della “guerra fredda”, quando nelle stanze di tre ex conventi, trasformati in sale di studio e di convegni, si discutevano dei possibili scenari apocalittici, che potevano verificarsi se fossero stati adoperati gli arsenali nucleari delle grandi potenze. E a quei discorsi, naturalmente, erano molto attenti i politici di tutto il mondo.
Il Centro occupa l’ex convento di San Rocco, dove hanno sede gli uffici, la direzione e la maggior parte delle aule per i convegni, quello di San Domenico, che ospita l’aula magna e alcune sale di rappresentanza e quello di San Francesco, dove c’è il “refettorio” per le cene di gala e sono disposte numerose “celle” per accogliere i convenuti in modo semplice ma dignitoso (ricordo che le stanze erano a due letti, che io ho condiviso una volta con il Prof. Vinicio Quesada, dell’Università di Cagliari ed un’altra volta con l’allora Col. Ernesto Migliardi. In entrambi i casi la chiave era grande, di ferro, pesantissima e soprattutto … unica, per cui doveva portarla con se colui che, la sera, pensava di ritirarsi per primo, altrimenti avrebbe dovuto aspettare nel corridoio).
I convegni (o meglio: quelli a cui ho partecipato io) si svolgevano nell’arco di due settimane. I giorni passavano veloci ed eravamo sempre impegnati nella presentazione delle letture e nella discussione di quelle degli altri. Ma non mancavano i momenti di svago: all’inizio c’era la cena inaugurale alla quale era sempre presente il Prof. Zichichi, ma spesso veniva anche l’On. Giulio Andreotti. Seguiva una festa danzante che si protraeva fino a mezzanotte, durante la quale alcuni gruppi folcloristici suonavano, cantavano e ballavano canzoni tipo “Ciuri ciuri” o “Vitti ‘na crozza”.
A me è capitata una interessantissima cena con entrambi i due ospiti d’onore citati sopra: mentre stavo commentando gli argomenti della mattinata con il capo del Servizio, il Gen. Abele Nania, sono arrivati insieme il Prof. Zichichi e l’On. Andreotti, che allora erano molto amici ed hanno invitato il Gen. Nania al loro tavolo, ma questi, vedendo che restava un posto libero e che io sarei rimasto da solo, ha chiesto se potevo sedermi anche io al tavolo con loro. È stato l’On. Andreotti a pronunciarsi, ricordo che ha detto: “ma certo, i giovani sono il nostro futuro”! Così è iniziata una cena veramente simpatica ed informale, durante la quale l’Onorevole ha raccontato decine di aneddoti e fatti curiosi dei quali era stato protagonista nella sua lunga carriera di politico e di diplomatico, superando di gran lunga, nei racconti, il pur loquace Prof. Zichichi. Io e il Generale abbiamo praticamente ascoltato solamente, ma ne è valsa veramente la pena. Uno dei convegni a cui ho partecipato, quello intitolato “Satellite Meteorology” si è svolto dal 12 al 22 novembre 1980 e per tutto il periodo, il Monte Erice, sulla cui sommità sorge la cittadina, è stato coperto da una densa nube che per noi, che c’eravamo dentro, era come una fitta nebbia. La sera, quando andavamo negli stretti vicoli medievali per comprare qualche monile di corallo, sembrava una scena dell’inferno dantesco, con le persone che si materializzavano nella nebbia quando erano ormai a pochi passi di distanza e il Prof. Ranier Black, dell’Università del Colorado che una sera si è perso ed è tornato la mattina dopo, dopo aver passato la notte in un piccolo albergo dall’altra parte della città.
A cena si andava tutti insieme (il gruppo principale era formato da 40 a 60 persone, di tutte le razze) al “Ciclope” oppure ci si fermava a discutere nella “taverna della botte”, una cantina all’interno dell’ex convento di San Rocco, dove si mangiava un po’ di pizza al taglio e si sorseggiava un ottimo vino “marsala”, mentre si discuteva sugli argomenti presentati in mattinata o su quelli da presentare il giorno dopo. In quella tavernetta c’era a disposizione un pianoforte e una chitarra, con la quale spesso ci si distraeva un po’ dalle accese argomentazioni scientifiche.
Una sera la delegazione russa ha improvvisato uno sketch da fare invidia alla nostra Rai1: uno di loro si è messo a suonare con la chitarra la nostra canzone “casaciok” (cantando nella loro lingua) e gli altri due si sono messi a ballare accovacciati e lanciando le gambe in avanti con la bravura di due ballerini professionisti.
La domenica era d’obbligo la gita a Segesta e Selinunte e li facevano sempre bella figura gli inglesi, che conoscevano la storia delle due antiche città molto meglio di noi italiani.
Altre notizie di carattere scientifico si possono trovare sul nuovissimo sito http://www.alfiogiuffrida.com/