L’algoritmo dell’Università di Trieste che prevede i terremoti e gli approfondimenti dell’INGV

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Nei giorni scorsi un articolo de ‘La Stampa’ intitolato Da Trieste l’algoritmo che sa prevedere i sismi ha portato alla ribalta nazionale gli studi scientifici dell’Università di Trieste che da molti anni è all’avanguardia sul tema dei terremoti e della loro prevedibilità in collaborazione con l’ICTP International Center for Theoretical Physics. Ai nostri microfoni ne aveva parlato il prof. Giuliano Panza (nella foto) in quest’intervista del giugno scorso. Panza, che nella sua carriera ha curato le voci di sismologia per l’enciclopedia “Treccani” e ha vinto nella sua brillante carriera la prestigiosa Medaglia “Beno Gutenberg”, massimo riconoscimento mondiale nel campo della sismologia, è uno dei più grandi esperti del settore e il metodo che ha sviluppato insieme ad altri ricercatori si basa sulla previsione a medio termine dei terremoti di magnitudo superiore a 5,4 attraverso alcuni algoritmi matematici che tentano di individuare i precursori dei sismi.
Sull’argomento è intervenuto anche il presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Stefano Gresta, con una lettera inviata proprio a La Stampa in cui Gresta ha voluto precisare alcuni punti. La pubblichiamo integralmente:

Gentile Direttore,

l’articolo di Andrea Rossi pubblicato nell’edizione di domenica 7 aprile “Da Trieste l’algoritmo che sa prevedere i sismi” contiene alcune affermazioni che necessitano qualche chiarimento, che peraltro nella lunga telefonata col giornalista pensavo di aver dato.

Si parla di una “scienza ufficiale” che boicotterebbe alcune ricerche. Per noi non esiste una scienza ufficiale, esiste la scienza che adotta il metodo di Galileo e che trova riscontro nella pubblicazione su riviste scientifiche previa la revisione da parte di esperti internazionali. E’ l’unica scienza che conosciamo. L’INGV ha quindi l’obbligo di prendere in considerazione gli aspetti scientifici di ogni algoritmo usato. Ma non corrisponde al vero che l’INGV abbia creato un gruppo di lavoro ad hoc per valutare l’algoritmo proposto dai ricercatori triestini. Si tratta invece di un progetto di ricerca a cui partecipano numerosi gruppi di ricercatori italiani, finanziato dal DPC, tramite l’INGV e coordinato da un collega dell’Università di Siena, che sta raccogliendo i dati disponibili sui segnali precursori di terremoti al fine di confrontarli in maniera oggettiva con l’accadimento di sismi. I risultati saranno disponibili tra qualche mese e messi a disposizione di tutta la comunità nazionale.

La mappa di pericolosità sismica prodotta da INGV (le “carte tradizionali” di cui si parla nell’articolo e su cui si basano le Norme Tecniche per le Costruzioni) ha superato nel tempo numerose verifiche scientifiche ed esistono pubblicazioni che dimostrano come non abbia sottostimato i forti terremoti avvenuti recentemente in Italia. Peraltro si basa sull’approccio probabilistico, che viene adottato in tutto il mondo per stime a lungo termine.

Per quanto riguarda l’algoritmo proposto dai ricercatori di Trieste, questo è noto da molti anni. Sarebbe innovativa la sua applicazione, in quanto non ci risulta che sia stato adottato per scopi pratici in nessun paese. Finora tutti i test eseguiti da gruppi indipendenti hanno mostrato che questi modelli, in termini di pericolosità, non dicono nulla di piu’ di quanto si sappia gia’.

Infine, il metodo propone dei periodi di aumentata probabilità (previsione) di forti terremoti per periodi lunghi e per regioni molto ampie: in Italia l’estensione di queste aree spesso è stata piu’ della metà del territorio nazionale. Nel caso del terremoto dell’Abruzzo del 2009, L’Aquila era fuori dall’area in allarme; un’area che andava dalla Slovenia, alla Liguria, e comprendeva gran parte della pianura padana, tutto l’appennino settentrionale e parte di quello centrale. Invece, la previsione del terremoto dell’Emilia si riferiva ad un periodo di oltre 6 mesi, su un’area che andava dal Friuli, alla Lombardia, all’Emilia-Romagna e poi tutto l’appennino comprendendo Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia settentrionale. Praticamente tutta l’Italia. Si veda, a tale proposito, l’articolo a firma di Fabio Albanese da voi pubblicato il 17 giugno 2012.

Cordialmente
Stefano Gresta

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