Nei giorni scorsi avevamo parlato delle prime ondate di freddo che avevano colpito l’America meridionale, con le prime intense gelate notturne dell’anno fra Cile meridionale e Argentina, sottolineando pure come, al tempo stesso, in Antartide, dopo il lungo periodo di temperature al di sotto delle medie del periodo, si sono verificati dei repentini rialzi termici, causati dai frequenti afflussi di masse d’aria più umide e temperate che discendono dalle medie latitudini oceaniche. Difatti nei giorni scorsi il sensibile rinforzo della ventilazione dai quadranti settentrionali, prodotto dal passaggio di una estesa “onda di Rossby” fra Pacifico e Atlantico meridionale, ha disintegrato lo strato d’inversione termica preesistente nei bassi strati sopra il Plateau centrale. Nella base permanente di Amundsen-Scott, per esempio, le temperature hanno subito una brusca impennata con l’ingresso di sostenuti, a tratti anche intensi, venti da Nord e N-NE che hanno superato la soglia dei 60 km/h.
Alcuni sistemi frontali, collegati ai profondi cicloni extratropicali che si approfondiranno attorno le coste antartiche, sono riusciti (lungo il settore pre-frontale dove prevalgono le correnti da NO e N-NO che trasportano aria più umida e temperata dai mari sub-polari) a sconfinare fino alle aree più interne dell’Antartide occidentale, favorendo delle intrusioni di aria piuttosto mite oceanica che ha determinato la brusca scaldata fino alle aree centrali del Plateau, compromettendo lo strato d’inversione in vaste aree della Calotta antartica. L’entrata delle masse d’aria più miti, d’estrazione oceanica, ha contribuito a catapultare le masse d’aria gelide, insistenti sul Plateau, verso le aree oceaniche australi, favorendo lo sviluppo di importanti ondate di freddo dirette verso le alte latitudini, fra America meridionale, Africa australe, Australia e Nuova Zelanda. L’ondata di freddo più intensa, proveniente dalle latitudini antartiche, dopo aver risalito il settore orientale dell’oceano Indiano meridionale, scaldandosi e umidificandosi notevolmente nei bassi strati (masse d’aria di tipo polari marittime), ha raggiunto i territori dell’Australia meridionale e la Nuova Zelanda, determinando un intenso calo termico che è stato accompagnato da rovesci e nevicate fino a quote collinari sull’isola del Sud.
L’avvezione fredda è stata pilotata verso le isole della Nuova Zelanda da una profonda depressione extratropicale, a carattere freddo, piuttosto profonda, posizionata nel tratto di oceano a sud-est dell’Isola del Sud, che si è contrapposta ad un promontorio anticiclonico di blocco, esteso con il proprio asse principale fra il mar di Tasman e lo spazio di mare davanti l’Isola del Nord. Lungo il bordo più occidentale del profondo ciclone extratropicale, alimentato da vari impulsi di aria molto fredda di matrice antartica marittima, il consistente “gradiente barico orizzontale” prodotto dall’interazione con la struttura anticiclonica mobile presente sul mar di Tasman, ha attivato intensi e freddi venti da SO e S-SO, al seguito di un fronte freddo ben strutturato in allontanamento verso il Pacifico meridionale, che hanno investito in pieno l’isola del Sud, dando luogo anche a delle burrasche particolarmente potenti sulle più esposte coste meridionali come sull’area di Wellington, dove la scorsa settimana i forti venti da S-SO hanno toccato un picco di oltre i 111 km/h. Ma l’aria fredda, antartica marittima, lungo il settore post-frontale, è stata accompagnata anche da molta instabilità, derivata dallo scorrimento in quota di aria molto fredda, da SO, sopra la più tiepida superficie marina.
I forti contrasti termici che si sono venuti a determinare con la più mite superficie marina, oltre ad inasprire il “gradiente termico verticale”, hanno incentivato la formazione della classica nuvolosità puntiforme, con la costruzione di imponenti addensamenti nuvolosi cumuliformi (cumuli e cumulonembi), carichi di piogge, rovesci, nevicate a bassa quota e persino grandinate di piccola e media taglia. Di solito questa nuvolosità viene evidenziata dalle moviole satellitari con i classici “ciottoli” o nubi puntiformi e si sviluppa all’interno del settore freddo post-frontale di un intenso ciclone extratropicale e rappresenta le varie linee di instabilità (derivate anche dalla rotazione dei venti al suolo più verso nord) che seguono il passaggio del fronte freddo. Alcuni di questi rovesci che hanno fatto seguito all’umido e freddo flusso post-frontale da SO, hanno portato le prime nevicate a bassa quota sui rilievi interni neozelandesi. Nevicate che a tratti sono divenute intense e persistenti, creando notevoli disagi visto l’impraticabilità di molte strade di montagna nell’isola del Sud. Un insolita nevicata è riuscita ad imbiancare persino le colline che circondano Nelson, ammantandole fino a bassa quota. In città la minima è scesa a soli +1.0°C. La neve dietro le colline di Nelson è un evento veramente considerevole se si considera che da queste parti, sulla baia di Nelson, è completamente sconosciuta, non essendo mai arrivata a livello del mare in tutta la storia neozelandese, dall’inizio della colonizzazione inglese.
In genere le nevicate sulle colline di Nelson sono veramente molto rare. Solo nel Luglio del 1939 si verifico una nevicata a bassissima quota, ma con accumuli a partire da quote basse collinari e non sul mare. Oltre alla prima neve a bassa quota l’ondata di freddo proveniente dal Polo Sud ha fatto piombare i valori termici ben al di sotto delle medie del periodo, con minime sotto i +0°C -1°C già a quote collinari. La scorsa domenica 23 Giugno 2013 a Waiouru, a circa 818 metri sul livello del mare, il termometro è scivolato sotto i -4.9°C. Notevoli pure i -3.3°C di Taupo (407 metri di altezza), i -3.0°C di Queenstown (354 metri sul livello del mare), i -2.5°C di Christchurch e i -1.3°C di Timaru. Prime forti gelate notturne anche sulle montagne australiane meridionali, dove nei giorni scorsi abbiamo misurato minime sotto i -10°C -11°C. Il freddo, pur attenuandosi gradualmente, continuerà ad interessare la Nuova Zelanda e l’Australia meridionale, con nuove gelate notturne sulle aree montuose interne, favorite in larga parte dai cieli sereni o poco nuvolosi che garantiranno l’ambiente ideale per la formazione di intense inversioni termiche.