Dalla belladonna alla mandragora, dal colchico all’aconito, fino alla cicuta di socratica memoria. Le erbe selvatiche velenose, scambiate per commestibili e servite a tavola, possono causare gravi intossicazioni e addirittura uccidere. “Ogni anno sono un migliaio le richieste di consulenza che riceviamo da tutta Italia, di cui circa 400 dalla Lombardia, per sospette intossicazioni dopo esposizione a piante sia di appartamento che selvatiche, queste ultime molto piu’ pericolose. E tutti gli anni si calcolano 2-3 morti, che non sono assolutamente pochi”. A fare il punto per l’Adnkronos Salute e’ Franca Davanzo, direttrice del Centro antiveleni dell’ospedale Niguarda di Milano (punto di riferimento nazionale, che ha firmato due recenti pubblicazioni sul tema), dopo il caso della famiglia di Torino ricoverata in gravissime condizioni dopo una cena a base di un’erba tossica, probabilmente belladonna. Tragedie che si ripetono ogni anno coinvolgendo in genere intere famiglie, animali compresi, soprattutto cani. E’ una delle conseguenze del mito della ‘natura amica’, riflette l’esperta: “Con la consuetudine, sempre piu’ diffusa, di considerare buono tutto cio’ che la natura ci da’ – spiega Davanzo – si finisce per raccogliere e mettere nel piatto tutto cio’ che ci sembra commestibile. Dimenticando che, da sempre e ancora oggi, i vegetali sono una delle fonti principali di potenti sostanze farmacologiche, che possono pero’ anche essere velenose”. “Il messaggio che ci terremo passasse – afferma la direttrice del Cav di Niguarda – e’ che la natura e’ si’ buona e amica, ma puo’ anche diventare pericolosissima per chi non la conosce piu’ che bene. L’invito, quindi, e’ di non raccogliere vegetali selvatici senza alcuna cognizione e di non mangiarli, anche se a prima vista sembrano commestibili”. La probabilita’ di fare confusione e’ altissima e i pericoli potenzialmente letali. “Solo nel 2012 – ricorda Davanzo – abbiamo avuto 10 episodi di intossicazione grave, di cui alcuni hanno riguardato anche animali, quasi tutti morti”. E anche alla luce dei dati allarmanti degli ultimi anni, “dopo il verificarsi di numerosi incidenti con il coinvolgimento di piu’ soggetti e la morte di due persone – continua la direttrice del Centro antiveleni del Niguarda – su nostra sollecitazione la Regione Lombardia ha promosso un progetto osservazionale che abbiamo battezzato ‘Erba matta’. E’ emersa la conferma che i casi in cui l’intossicazione deriva dall’ingestione di erbe selvatiche sono i piu’ pericolosi. Da un lato si rischia infatti di raccogliere specie molto tossiche se non mortali, dall’altro chi le raccoglie tende a servirle anche ad altri commensali”. Innescando appunto pericolose ‘intossicazioni di famiglia’. Al Cav milanese, prosegue Davanzo, “abbiamo messo a punto un sistema per cui, quando veniamo consultati per una sospetta intossicazione da ingestione di piante, chiediamo di ricevere anche la fotografia del vegetale in modo tale da poterla identificare, noi direttamente o attraverso i nostri esperti botanici”. In questo modo e’ possibile ‘mappare’ le intossicazioni piu’ frequenti: “In Sicilia per esempio l’insidia piu’ frequente e’ la mandragora, mentre in Piemonte e in Lombardia anche, tra le altre, la belladonna”. Ma nell’elenco dei ‘veleni verdi’ buttati in pentola per errore ci sono anche veratro, tasso, stramonio, colchico, aconito, cicuta. “A proposito della cicuta – conclude l’esperta – abbiamo fatto una scoperta molto interessante: in primavera le allodole si cibano dei germogli di questa pianta, perche’ particolarmente ricchi di sostanze nutritive”. Loro non si intossicano, ma “a rischiare sono i cacciatori che mangiando le allodole ingeriscono anche cicuta”.