La mattina del 10 ottobre di 50 anni fa, la Valle del Piave si svegliava in un deserto di fango e desolazione. Il paese di Longarone, situato allo sbocco della valle del Vajont, sotto l’enorme diga realizzata negli anni precedenti, non esisteva più. I racconti dei primi soccorritori e giornalisti che si recarono proprio in queste ore sul posto, erano apocalittici: di Longarone non esisteva più neanche l’ombra. Solo fango, detriti lasciati dall’enorme ondata di acqua caduta dalla diga.
Cosa era successo? L’enorme paleofrana scoperta negli anni precedenti dal geologo Edoardo Semenza, rimasto purtroppo inascoltato, si era staccata. Una massa franosa di 270 milioni di metri cubi era precipitata in poche decine di secondi nell’invaso artificiale, sollevando un’ondata micidiale che scavalcò la diga (rimasta intatta) di 200 metri, piombando nella valle del Piave. L’impatto dell’enorme ondata sulla valle, situata alcune centinaia di metri più in basso, fu tale da creare una scossa sismica che venne registrata da diversi sismografi. A Longarone, che si trovava proprio allo sbocco della stretta valle del Vajont, non rimase niente in piedi, tutto fu spazzato via. 1450 persone morirono nel paese. Altre centinaia morirono a Codissago e Castellavazzo, sempre sulla Valle del Piave. Anche Erto e Casso, i paesi montani situati nella Valle del Vajont sul versante opposto a quello franato furono colpiti, anche qui ci furono molti morti. Enormi spruzzi d’acqua scoperchiarono case e fecero danni, anche se non comparabili con la distruzione avvenuta più a valle.
Così raccontò agli italiani cosa era successo Dino Buzzati, che a quel tempo scriveva per il Corriere della Sera: Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi.