Scoperte da un team internazionale di ricercatori, molti dei quali dell’Inaf, due remotissime galassie, le sorgenti più deboli mai osservate entro il primo miliardo d’anni dall’origine dell’Universo. Eros Vanzella (Inaf): ‘sfruttando l’effetto della lente gravitazionale e le potenzialità del Large Binocular Telescope si puo’ osservare una porzione di Universo lontanissima e quasi completamente inesplorata’. Come si fa a cercare le più remote galassie dell’universo? “Con un grande telescopio, ovvio. Ma se queste sono così lontane e deboli anche per i più potenti strumenti oggi in circolazione? Allora ci vogliono due telescopi. Il secondo però non si trova sulla Terra, non è fatto di vetro e specchi ma da tanta, tantissima materia, addirittura anche oscura. Sì, un super ammasso di galassie è quello che ci serve per riuscire a deviare e concentrare la debole luce di galassie distantissime che si trovano esattamente allineate tra noi e la fortuita lente gravitazionale, sfruttando le predizioni della Teoria della Relatività Generale formulata da Albert Einstein.” Così Marco Galliani sul sito dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “Questi oggetti celesti sono estremamente deboli e oggi inaccessibili con gli attuali telescopi, anche i più potenti che con il loro specchio principale arrivano fino a 10 metri di diametro. Per spingerci oltre i loro limiti sfruttiamo l’effetto di lente gravitazionale, proprio come è avvenuto per la nostra scoperta” racconta Eros Vanzella, dell’Inaf-Osservatorio Astronomico di Bologna, che ha guidato un team internazionale per scovare e ‘certificare’ – grazie alle indagini spettroscopiche – due galassie debolissime e antichissime, scorte quando l’Universo aveva ‘appena’ 880 milioni di anni, ovvero il 6 per cento della sua età attuale, stimata in circa 13,6 miliardi di anni.