Cambiamenti climatici: coltivazioni di frumento duro sempre più a nord

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FRUMENTO DURO”Accadde a Pulcinella che, nominato principe, appena seppe che per rispetto del suo rango mai piu’ gli sarebbero state servite pietanze a base di maccheroni, non ebbe tentennamenti: mo’ mo’ me sprincepo, rispose, e abdico’ all’istante. Una vita senza spaghetti, spaghettoni, candele, ziti, paccheri, linguine, rigatoni: e che vita sarebbe?”. E’ la storia narrata da un antico pastificio di Gragnano, che coniuga bene l’abbinamento ‘Pulcinella-Napoli e la pasta’. E cosa sarebbe la dieta mediterranea inserita dall’Unesco nel patrimonio culturale immateriale dell’umanita’ senza la pasta? Un rischio per fortuna del tutto ipotetico, ma non escluso, poiche’ i cambiamenti climatici stanno spingendo la coltivazione del frumento duro sempre piu’ a Nord e la pasta italiana, potrebbe trovarsi a dipendere sempre piu’ dalle importazioni, con gravi ricadute anche per la nostra economia. ”Il climate change in atto nel Mediterraneo sta modificando il regime delle precipitazioni”, spiega Domenico Pignone, dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr (Ibbr-Cnr) in un articolo sul nuovo numero on line dell’Almanacco della Scienzadel Cnr, ”e poiche’ il frumento duro normalmente non viene irrigato, avere periodi piu’ lunghi con precipitazioni scarse porta effetti negativi sulla produttivita’ e sulla qualita”’. L’area del Mediterraneo, dove la specie si e’ evoluta ed e’ stata coltivata per 10 mila anni, sta diventando inospitale. ”Il frumento, spinto sempre piu’ a Nord, sperimentera’ agenti patogeni e condizioni ambientali differenti”, spiega ancora Pignone. ”Nel contempo, la gamma di prodotti che si ricavano dal suo raccolto si amplia e il consumo si estende a nuove regioni”. Cosi’ come gli antichi romani andavano a prendere il frumento nell’Africa del Nord, finche’ le coltivazioni hanno raggiunto l’Italia attestandosi soprattutto nel Sud, cosi’ le cose stanno cambiando oggi. ”Attualmente, nelle nostre regioni meridionali si producono in media 25 quintali per ettaro, mentre piu’ a nord, dove un regime di piogge piu’ abbondante e omogeneo rende maggiore acqua disponibile alle piante, la produttivita’ sale a 40-50 quintali per ettaro, per esempio in Emilia Romagna”, aggiunge Pignone. Spingendosi sempre piu’ a nord, il frumento potrebbe lasciare i confini nazionali. ”L’Italia, un po’ come e’ avvenuto con la seta, da paese produttore potrebbe diventare totalmente importatore. Gia’ oggi importiamo piu’ del 40% di quanto necessario all’industria agroalimentare nazionale”, aggiunge Pignone. ”E’ necessario mettere a frutto strategie di miglioramento genetico tali da permettere lo sviluppo di un prodotto di qualita’, in grado di dare produzioni sostenibili nell’ambito dei nuovi scenari. Gia’ i prodotti a base di frumento che mangiamo oggi sono frutto del miglioramento genetico cui il cereale e’ stato sottoposto, prima in maniera non scientifica dagli agricoltori, poi in modo piu’ rigoroso. Ma cio’ ha portato alla perdita di alcuni geni che oggi la ricerca ritiene importante recuperare, grazie alle tecnologie avanzate della biologia e dell’informatica, per fronteggiare le sfide alimentari del futuro”. L’Ibbr-Cnr di Bari conserva circa 27.000 campioni di varieta’ di frumento, a fronte di un centinaio di varieta’ oggi usate. Infine, non bisogna perdere di vista il mercato: ”Oggi, i circa 300 milioni di cinesi che vivono secondo uno standard europeo incrementano la loro richiesta di prodotti alimentari italiani, come la pasta di grano duro. L’aumento delle produzioni connesso all’aumento della richiesta e’ un’ulteriore sfida a cui occorre dare una risposta”, conclude Pignone.

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