Tsunami in Cile: nel Mediterraneo può accadere qualcosa di simile? Il CAT per “la svolta buona”

MeteoWeb

1Il recente tsunami in Cile ha riportato in primo piano il pericolo collegato alle onde di maremoto sulle coste. Da tempo MeteoWeb cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità competenti su questo tipo di rischio che può coinvolgere anche il nostro paese più di quanto si possa generalmente pensare: a questo proposito si veda la nostra apposita sezione. Pur essendo spesso tacciati di catastrofismo soltanto per aver sollevato il problema, notiamo adesso con soddisfazione che, finalmente, su stampa e tv, s’è aperto un ampio dibattito sulla reale possibilità che uno tsunami possa svilupparsi anche nel Mediterraneo: ce ne parla il geologo Giampiero Petrucci.

L’andamento delle onde dello tsunami di Creta nel 365 ricostruito al computer (da Lorito S. et alii, Earthquake-generated Tsunamis in the Mediterranean Sea: Scenarios of Potential Threats to Southern Italy, Journal of Geophysical Research, Vol. 113, 2008)
L’andamento delle onde dello tsunami di Creta nel 365 ricostruito al computer (da Lorito S. et alii, Earthquake-generated Tsunamis in the Mediterranean Sea: Scenarios of Potential Threats to Southern Italy, Journal of Geophysical Research, Vol. 113, 2008)

Tsunami è parola giapponese che significa “onda nel porto”: vocabolo fino a poco tempo fa assolutamente sconosciuto in Europa, è diventato di uso comune dopo il tragico evento del 26 dicembre 2004 ed ancor più utilizzato dopo il disastro dell’11 marzo 2011 di Fukushima. Se oggi tutti sanno cos’è uno tsunami, o almeno come si verifica, rimane ancora molta disinformazione sui rischi che le coste del nostro paese possono correre a seguito di onde alte e possenti generate improvvisamente da un terremoto, un’eruzione, una frana (subaerea o sottomarina) e perfino (caso rarissimo ma comunque possibile) da un meteorite. Sono queste infatti le sorgenti tsunamigeniche per eccellenza e nel nostro paese, ce lo dicono le statistiche, esiste una particolarità molto interessante dal punto di vista scientifico: in duemila anni di storia la percentuale di tsunami provocati da frane ed eruzioni (circa il 22% del totale) è sensibilmente superiore rispetto a ciò che accade nel resto del mondo, anche nello stesso Oceano Pacifico il quale, causa il celebre “anello di fuoco” che lo circonda, rappresenta la sede tsunamigenica per antonomasia. Ciò è dovuto anche al fatto che la nostra penisola, geologicamente giovane e dunque ancora molto dinamica, si trova proprio al centro del Mediterraneo dove da milioni di anni si sta sviluppando, sotto l’aspetto tettonico, lo scontro tra la placca africana con quella euroasiatica lungo un fronte che, all’incirca, può essere posizionato in direzione est-ovest lungo tutto il bacino. Questo scontro porta inevitabilmente alla generazione di forti terremoti, talora anche di magnitudo superiori a 7.0, in corrispondenza soprattutto del cosiddetto “arco ellenico” (che va dalle isole Ionie alla Turchia sfiorando Creta) e del Mar di Marmara, notoriamente le zone più sismiche d’Europa. Tuttavia anche alcune faglie presenti nei pressi delle coste magrebine, in particolare nel nord dell’Algeria, e le strutture tettoniche del sud Italia, vulcani compresi (in particolare le isole Eolie), rappresentano, a detta di tutti gli studiosi, importanti sorgenti tsunamigeniche, potenzialmente molto pericolose.

Da sinistra verso destra, foto di tre distinti depositi di tsunami ritrovati rispettivamente nei siti di Augusta, Priolo e Morghella. I tre depositi mostrano caratteristiche stratigrafiche e sedimentologiche tipiche delle tsunamiti: sono singoli livelli, relativamente sottili (<25 cm), massivi e senza alcun tipo struttura al loro interno e spesso mostrano un contatto di base brusco. Foto tratta da De Martini et alii, 2012 (http://www.nat-hazards-earth-syst-sci.net/12/2569/2012/nhess-12-2569-2012.pdf)
Da sinistra verso destra, foto di tre distinti depositi di tsunami ritrovati rispettivamente nei siti di Augusta, Priolo e Morghella. I tre depositi mostrano caratteristiche stratigrafiche e sedimentologiche tipiche delle tsunamiti: sono singoli livelli, relativamente sottili (

In effetti, a ben guardare la storia e la sezione di MeteoWeb sugli tsunami, i maremoti nel Mediterraneo centro-orientale sono stati più frequenti di quello che si potrebbe pensare. Senza dubbio, il più grande tsunami degli ultimi 2000 anni è quello del 21 luglio 365, originatosi proprio nell’arco ellenico, pochi km a sud dell’isola di Creta, a seguito del più forte terremoto mai verificatosi in Europa. Di magnitudo stimata intorno a 8.0-8.3, dunque simile a quello cileno di pochi giorni fa, il sisma (che annienta le cittadine dell’isola e provoca gravi danni anche nel Peloponneso) genera onde alte fino ad una decina di metri che, viaggiando nelle quattro direzioni, percorrono l’intero Mediterraneo, giungendo a Cipro ed in Palestina (altezza di 6 metri) mentre a sud colpiscono violentemente le città di Alessandria, in Egitto, ed Apollonia, in Libia, sommergendole fino a 12-15 metri di altezza, devastando interi quartieri e provocando migliaia di vittime. Non a caso il 21 luglio 365 rimane a lungo tempo nell’immaginario collettivo del periodo come “giorno dell’orrore”, il momento in cui si verifica la prima catastrofe “globale” della storia umana moderna. Anche perché viaggiando verso ovest, dopo circa 60-75 minuti dalle prime scosse, le onde raggiungono pure Calabria e Sicilia. Recenti studi, guidati dalla ricercatrice dell’INGV Alessandra Smedile, hanno confermato questa ipotesi grazie al ritrovamento di appositi sedimenti, detti tsunamiti, livelli sabbiosi contenenti anche resti di microrganismi, che testimoniano l’avvenuta ingressione delle onde sulla costa, presenti sia nei pressi di Pachino che nei dintorni di Augusta. L’ampio tratto di mare davanti a questa cittadina, nella Sicilia orientale, a nord di Siracusa, può ben essere definito come “baia degli tsunami” visto che le stesse ricerche hanno mostrato come il luogo sia stato colpito da almeno cinque grandi tsunami, compreso quello di Creta del 365 e soprattutto anche quello celeberrimo generato dall’isola vulcanica di Santorini nel 1600 a.C. e le cui onde pure viaggiarono per l’intero Mediterraneo. Nonostante questo e gli evidenti pericoli connessi, ad Augusta sono state realizzate infrastrutture importanti quali il porto (tra i più attivi d’Europa per le merci), gli impianti petrolchimici e perfino la base NATO, aumentando dunque a dismisura la vulnerabilità dell’area.

Mappa della Baia di Augusta dove sono evidenziate in rosso le aree che potrebbero essere inondate da futuri tsunami. Tale aree sono state ricavate tenendo in considerazione la massima distanza (500 m) e quota (5 m sopra il livello del mare) alla quale sono stati identificati i depositi di paleotsunami. Figura estratta da Smedile et alii, 2012 (http://www.nat-hazards-earth-syst-sci.net/12/2557/2012/nhess-12-2557-2012.pdf)
Mappa della Baia di Augusta dove sono evidenziate in rosso le aree che potrebbero essere inondate da futuri tsunami. Tale aree sono state ricavate tenendo in considerazione la massima distanza (500 m) e quota (5 m sopra il livello del mare) alla quale sono stati identificati i depositi di paleotsunami. Figura estratta da Smedile et alii, 2012 (http://www.nat-hazards-earth-syst-sci.net/12/2557/2012/nhess-12-2557-2012.pdf)

Dunque, la domanda che in questi giorni viene continuamente posta, sull’eventualità che anche nel Mediterraneo possano accadere eventi simili a quello cileno, trova una pronta risposta nella storia, almeno per coloro che sanno capirla ed apprezzarla. Qualcuno, e non sarà né il primo né il solo, forse potrà obiettare che questi casi sono rari e perduti nella notte dei tempi, difficilmente ripetibili. Ed allora, per gli scettici, ricordiamo alcuni eclatanti eventi degli ultimi 400 anni sulle nostre coste. Nel 1627, a seguito di un terremoto di magnitudo stimata 6.7, con epicentro nei pressi di S. Severo, che provoca almeno 4mila morti, si sviluppa uno tsunami che colpisce la costa adriatica da Termoli a Manfredonia, con onde alte fino a 5 metri ed ingressione fino a 3 km (la più alta mai registrata in Italia) nella zona del lago di Lesina. Un simile evento se si ripetesse oggi, considerata l’ampia urbanizzazione del Gargano, provocherebbe un disastro di ampie proporzioni. Nel 1693 il terremoto più forte mai accaduto nel nostro paese, magnitudo stimata 7.4, investe la Val di Noto, provocando circa 60mila morti e devastazione totale: a Catania muore il 63% degli abitanti, a Ragusa il 51%. Il litorale ionico da Messina al Golfo di Noto viene colpito da un violento tsunami sulla cui origine (direttamente connesso al sisma o provocato da una grande frana sottomarina?) gli scienziati stanno ancora discutendo: le onde sommergono Catania, fino all’attuale Piazza Mazzini, ed Augusta mentre nel litorale di Mascali le acque penetrano la costa per circa un km e mezzo. Nel 1783 tocca alla Calabria meridionale, teatro della più grande “crisi sismica” mai registrata nel nostro paese, con forti scosse che si susseguono per oltre un anno. Accompagnati ai sismi, diversi tsunami tra cui il più grave si verifica a Scilla il 5 febbraio 1783 quando, in piena notte, un’immensa frana (fronte di 500 metri e volume di diversi milioni di mc) si stacca dal monte Pacì e precipita in mare, sollevando onde alte fino a 10-12 metri che sommergono l’intera baia antistante il paese, provocando circa 1500 morti tra gli sfortunati scillesi che nel frattempo, causa le scosse precedenti che avevano danneggiato le loro abitazioni, si erano incautamente rifugiati sulla spiaggia di Marina Grande.

Un’antica carta rappresentante l’area interessata dal terremoto e dallo tsunami del 1627 che colpì le coste del Gargano, in Puglia
Un’antica carta rappresentante l’area interessata dal terremoto e dallo tsunami del 1627 che colpì le coste del Gargano, in Puglia

Il 23 gennaio 1887 si sviluppa invece lo tsunami forse più dimenticato e meno noto degli ultimi 150 anni nel nostro paese: a seguito di un terremoto di magnitudo 6.3, con epicentro nei pressi di Diano Castello, l’intera Riviera Ligure di Ponente, allora certamente molto meno urbanizzata e popolata di adesso, viene interessata da onde alte circa due metri le quali danneggiano diverse barche nel porto di Sanremo, inondano le spiagge di Genova ed Imperia, ma soprattutto sommergono alcune vie di Diano Marina. Una regressione permanente della spiaggia, indotta dallo tsunami, è registrata a Loano nonché in alcuni tratti tra Imperia ed Ospedaletti. Un evento da non sottovalutare come invece spesso è accaduto. Il 28 dicembre 1908 ecco il grande e ben noto terremoto dello Stretto di Messina che, di magnitudo 7.1, provoca almeno 80mila morti e cui segue uno tsunami connesso, secondo una recente teoria, ad un’enorme frana sottomarina sviluppatasi davanti a Giardini Naxos ed i cui effetti si sarebbero combinati a quelli del sisma. Lo tsunami produce gravissimi danni, in particolare nelle baie esposte verso sud (e per questo è definito “tsunami di scirocco”), con altezze delle onde che raggiungono i 10-12 metri sia sulla costa calabrese (Pellaro) che siciliana (Capo S.Alessio), provocando probabilmente almeno 2000 morti, in particolare a Cala S. Paolo (oggi Briga Marina) dove molti sventurati, rifugiatisi sulla spiaggia in attesa dei soccorsi, vengono travolti dalle acque. Gravi danni anche a Scaletta Zanclea, Roccalumera ed al porto di Catania. Questo di Messina rimane probabilmente lo tsunami più disastroso, per effetti sugli edifici e le vittime riscontrate, mai accaduto nel nostro paese. Da quel giorno però, per oltre un secolo, gli tsunami in Italia sono caduti sempre più nel dimenticatoio, complici anche eventi non più eclatanti e che spesso, data la loro scarsa intensità e perché accaduti in periodi particolari, non hanno suscitato l’interesse né della stampa né dell’opinione pubblica. E’ il caso ad esempio di quanto accade a Stromboli l’11 settembre 1930 quando una violenta eruzione del vulcano provoca 4 morti. Nella zona di Ficogrande lo tsunami susseguente, con onde alte quasi 3 metri, provoca altre due vittime, sorprese dal maremoto sulla spiaggia. Sono questi gli unici morti alle Eolie, e nel nostro paese, a seguito di uno tsunami negli ultimi cento anni. A Stromboli si replica nel 1944, in piena Seconda Guerra Mondiale, quando la lava (e forse una frana) sulla Sciara del Fuoco termina la sua veloce corsa in mare e genera un’onda che a Punta Lena provoca un’ingressione di circa 300 metri, con decine di pesci spiaggiati. Situazione similare a quanto accaduto nel 2002: sulla Sciara del Fuoco due frane, di cui una principalmente sottomarina, spostano circa 20 milioni di mc, generando un’onda anomala con altezza di diversi metri che provoca danni non solo a Stromboli (Punta Lena e Scari) ma anche nella vicina Panarea dove vengono danneggiate numerose barche ed alcuni edifici in prossimità del molo. L’onda viene avvertita da Ustica a Milazzo, pur senza danni sensibili. Questo evento, pur venendo ricordato, probabilmente non è stato ancora percepito dall’opinione pubblica nella sua completa pericolosità. Se fosse avvenuto in piena estate, staremmo qui a parlare di un altro grande disastro, probabilmente anche con alcune vittime.

In alto: lo sviluppo dell’enorme frana che ha provocato lo tsunami a Scilla nel 1783 in una ricostruzione grafica dell’evento. Dal monte Pacì (area in rosso) si stacca la massa di terreno che scende rapidamente in mare, percorrendo un tragitto quasi rettilineo (in giallo) fino ad accumularsi sul fondo dello Stretto (area evidenziata in bianco). Sullo sfondo, a sinistra, la spiaggia di Marina Grande dove perirono circa 1500 persone (per gentile concessione del dott. Paolo Mazzanti)
In alto: lo sviluppo dell’enorme frana che ha provocato lo tsunami a Scilla nel 1783 in una ricostruzione grafica dell’evento. Dal monte Pacì (area in rosso) si stacca la massa di terreno che scende rapidamente in mare, percorrendo un tragitto quasi rettilineo (in giallo) fino ad accumularsi sul fondo dello Stretto (area evidenziata in bianco). Sullo sfondo, a sinistra, la spiaggia di Marina Grande dove perirono circa 1500 persone (per gentile concessione del dott. Paolo Mazzanti)

Totalmente dimenticato risulta invece lo tsunami più anomalo, e per questo più interessante, degli ultimi 50 anni che abbia interessato le nostre coste: il 21 giugno 1978 l’intero Adriatico è percorso da un’onda anomala sulla cui origine per molti anni è calato un vero e proprio mistero, svelato solo pochi anni fa grazie ad Ivica Vilibic dell’Istituto di Oceanografia di Spalato. Classificato come meteotsunami (originato dunque da particolari condizioni atmosferiche), il fenomeno colpisce la nostra costa adriatica tra Giulianova e Bari dove rimangono danneggiati numerosi ormeggi. A Termoli il porto rimane all’asciutto, per poi essere nuovamente invaso dal mare, con oscillazioni ripetute che durano un’ora: situazione simile a Giulianova. Molti litorali vengono inondati, numerosi i pesci spiaggiati. A Vieste le onde trascinano via gli ombrelloni sulla spiaggia, con qualche turista che rimane ferito lievemente. Un evento significativo ma al quale i giornali dedicano poche righe: l’attenzione è tutta rivolta ai Mondiali di calcio, quel giorno la nostra Nazionale gioca contro l’Olanda la partita decisiva (perdendola).

Proprio questo è il punto focale che vogliamo sottolineare in chiusura della nostra trattazione. L’esempio del 1978 è lampante: abbiamo avuto uno tsunami in casa, peraltro di lieve entità ma comunque ben avvertibile, e non ce ne siamo neppure accorti. La scarsa attenzione dedicata dall’opinione pubblica e dalle amministrazioni, locali e centrali, al rischio-tsunami sulle nostre coste è evidente ancora oggi. Certo, non è un rischio visibile e ripetuto, come possono esserlo terremoti ed alluvioni (per i quali comunque siamo ben lungi dall’ottenere una pur minima salvaguardia del territorio), ma comunque presente. Gli eventi eclatanti dell’ultimo decennio hanno acceso, finalmente, l’interesse di tutti sugli tsunami ed allora bisogna approfittarne. Si deve intervenire sulla prevenzione ma anche sull’informazione ai cittadini: sulle nostre coste non esiste nessun piano di emergenza-tsunami, non esistono cartelli che indichino le eventuali zone di sicurezza (come ad esempio in America), non esistono sistemi di allarme (tipo le sirene che hanno suonato in Cile), praticamente non esiste niente. Oltre tutto il Mediterraneo è un bacino relativamente piccolo soprattutto se paragonato all’Oceano Pacifico: il tempo di percorrenza delle onde di tsunami, che viaggiano alla velocità di diverse centinaia di km/h, non consente metodi di evacuazione lenti od impacciati. In un’ora uno tsunami originatosi a Creta può giungere in Calabria e Sicilia, i tempi sono ancora più corti se la sorgente ad esempio fosse ubicata a Stromboli o nel Canale di Otranto. Epicentro, quest’ultimo, di un altro evento dimenticato, il terremoto che  nel 1743 distrusse mezzo Salento (Nardò e Francavilla Fontana le città più colpite), provocando uno tsunami lungo la costa ionica della Puglia meridionale, con onde alte diversi metri, del quale però non si hanno testimonianze scritte (ma solo evidenze geologiche e geomorfologiche) data la scarsissima densità abitativa dell’area in quel periodo. Siamo praticamente indifesi dagli tsunami, questa è la realtà attuale.

tsunami-australia.jpgMa in questo quadro di totale sconforto, esiste un barlume di speranza. Protezione Civile, INGV ed ISPRA stanno lavorando in sinergia alla realizzazione del cosiddetto CAT ovvero il Centro Italiano di Allertamento per Rischio Tsunami che, una volta operativo, dovrebbe garantire la salvaguardia della popolazione costiera da eventuali onde anomale generate nel Mediterraneo, anche se i tempi di preavviso rimangono comunque piuttosto stretti per l’organizzazione di un’adeguata evacuazione. Tuttavia oggi la rete sismica esistente, in Italia e nei paesi limitrofi, consente di calcolare in pochi minuti la posizione dell’epicentro di un sisma, la sua magnitudo e le possibilità di formazione di uno tsunami, con valutazione anche di direzione ed intensità delle onde. Un sistema dunque coordinato di allertamento regionale, a livello di bacino mediterraneo, può consentire di passare dalla fase di monitoraggio ed allarme a quella di salvaguardia e protezione della popolazione. Tutto ciò però sarebbe inutile se non fosse affiancato da un efficace coinvolgimento del territorio, inteso come cittadinanza ed amministrazione, sul progetto e sullo sviluppo degli opportuni piani di emergenza ed evacuazione. La scienza progredisce costantemente, ma la politica non sembra adeguarsi: serve, anche e soprattutto nella salvaguardia ambientale, una svolta ed un deciso cambio di passo. Anche nel campo della prevenzione dal rischio-tsunami si spera che presto si giunga, finalmente, alla “svolta buona”.

Condividi