Storie di musica – Roccia e Rolla

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But I knew I was out of luck The day the music died… Ma sapevo che sarei stato sfortunato il giorno in cui la musica morì…

But I knew I was out of luck The day the music died…

Ma sapevo che sarei stato sfortunato il giorno in cui la musica morì…

Queste parole sono tratte da una stupenda canzone scritta da Don McLean nel 1972 (In realtà American Pie fu scritta alla fine degli anni 60 al college, il 72 è l’anno di registrazione e pubblicazione, ritornata in voga per una recente cover moderna di Madonna) per ricordare e commemorare quel giorno in cui la musica morì…

Quel giorno era il 3 febbraio 1959, esattamente poco dopo la mezzanotte, quando un aeroplano, affittato apposta per l’occasione e decollato dall’aeroporto di Clear Lake comunque nonostante le avverse condizioni metereologiche, si schianta a terra uccidendo il ventunenne pilota, con poca esperienza, Roger Peterson, e la musica rappresentata da Buddy Holly, The Big Bopper e Richie Valens.

Erano tre celebri artisti in ascesa, tre ragazzi bianchi stelle del nuovo rock and roll…

Il rock and roll divenne noto al pubblico e riconosciuto nella seconda metà degli anni cinquanta e fu associato come genere e stile musicale ai bianchi, associandolo a cantanti che si svilupparono artisticamente nella fucina del Tennessee, già patria del country. Ma in realtà non è propriamente così, bensì fu solo ed esclusivamente il riflesso di un’astuta intuizione delle potenti case discografiche, che allora operavano in regime di oligopolio, con il compiaciuto consenso dell’establishment americano.

Buddy Holly era una di queste stelle di questo nuovo genere musicale, almeno commercialmente parlando, e con lui le radio passavano i vinili di nomi come Jerry Lee Lewis, esuberante pianista, e soprattutto colui che più di chiunque altro fece si che il rock and roll venisse attribuito ai visi pallidi, The King of Memphis Elvis Presley….

In realtà le origini del Rock and Roll risalgono a qualche decennio prima, e di visi pallidi se ne vedevano pochi, pochissimi negli Honky Thonk*del sud.

Il R&R non è altro che l’ennesimo frutto della slavina musicale che dall’inizio del novecento aveva investito gli Stati Uniti d’America, ed essendo questa slavina di colore prettamente nero, non può che non essere un genere inventato dagli afroamericani.

La prima vera canzone considerata e attribuita al genere Rock and roll è Roll ‘em’ Pet di Big Joe Turner del 1939, con, per l’appunto, il suo fido compagno di mille avventure Pete Johnson, virtuoso pianista di boogie woogie, e di bianco avevano solo i calzini e i denti quei due negri di Kansas City.

Erano solo le prime sperimentazioni non troppo convinte, la verità è che serviva qualcuno che ragionasse a comparti stagni, che fosse staccato dalle origini, dalle radici…

Il rock and roll è una commistione di tutto quello che si era creato fino alla fine degli anni quaranta, ma il blues di Chicago ed il boogie furono determinanti nel dare lo slancio a far sviluppare questo boogie woogie accelerato, con una notevole accentuazione dei riff di chitarra ed un energico rullaggio della batteria. La rapidità coinvolgente è presa da tutti quei sottogeneri del boogie degli anni 20, caratterizzati da una figura costante dei bassi della mano sinistra del piano, come l’honky thonk o lo stile stride piano, anche se quest’ultimo viene considerato un sottogenere del jazz, ma altro non è che la commistione del blues di New Orleans con il ragtime.

E’ spesso il pianoforte a dettare i tempi e i ritmi quando la battuta incalza, e Jerry Lee Lewis ne saprà cogliere l’anima del rock and roll suonato al pianoforte.

Il punto è che il rock‘n’ roll si cominciava a distaccare troppo dalle radici, dalla tradizione.

Era troppo veloce e le pause che facevano da preludio al Roll non si addicevano alle sinuosità rotonde e piene del blues e non potevano rendere e soddisfare come la malinconica allegria degli ottoni del jazz.

Per cui serviva qualcuno che strumentalizzasse la cosa, e chi può farlo meglio di un ricco imprenditore bianco?!?

Era perfetto, un nuovo sound che finalmente si potesse associare ai bianchi e che potesse spopolare per la sua ballabilità, se non consideriamo il country che all’epoca rimaneva ancora abbastanza di nicchia negli Stati Uniti, a parte nel Tennessee dove non aveva confronti con nessun altro genere musicale.

Ed è proprio da qui, da Memphis e dalla sua capitale che si ebbe l’ascesa di Elvis e dell’industria di Nashville.

Elvis-Presley-009 La musica stava cambiando, non era più quello che era prima, non era più un divertimento, uno sfogo, una redenzione, una continuità di una tradizione lunga secoli. Stava divenendo un prodotto commerciale, lo era già tecnicamente, le prime incisioni sono degli anni venti, ma le vendite erano un numero quasi trascurabile. Erano più le copie che si regalavano alle radio di quelle vendute.

Del resto erano pochi coloro che si potevano permettere un grammofono o un gira dischi, quei pochi erano l’alta borghesia bianca e l’alta borghesia bianca non ascoltava la musica black, pare fosse musica del diavolo. La musica moderna non era più un dono di Dio per gli afroamericani. Era diventata popolare, si ascoltava nei bar e nei locali affollati dal “nuovo consumismo”. La guerra era ormai un brutto ricordo e quando le cose diventano popolari, a maggior ragione se si è in pieno boom economico come negli anni 50, il passo è più che breve perché una cosa diventi commerciale. Così, dai primi anni dei cinquanta, si comincia a sentire parlare sempre di più di questo rock and roll, di questo genere che è energia pura e che fa ballare tutti. La musica moderna stava diventando anche dei bianchi, si prese qualche influenza del bluegrass, in particolare gli strumenti, escluso il banjo, che compongono questa sotto forma ritmata del country in andantino, dando un ritmo boogie woogie incalzante, elettrificando gli strumenti, ovvero sostituendo le chitarre elettriche al posto delle acustiche ed i bassi al posto dei contrabassi, e dandogli un nome che si identificasse esattamente con quello che si voleva, ovvero Rockabilly.

Rockabilly è l’unione delle parole Rock and Roll e Hill Billy, tradotto letteralmente caprone di montagna, così da identificare il bianco medio allevatore di vacche molto affascinante che ama la musica e la cultura folk.

All’epoca le etichette indipendenti che incidevano, prima che arrivassero le Major dopo la metà degli anni sessanta, erano praticamente 5: La Columbia, la RCA, la Sun, la Atlantic e la Chess.

La Chess già menzionata più volte nelle precedenti storie, nasce come etichetta blues come dicevamo, e anche se aveva tra le sue fila Chuck Berry, che sperimentava R&R da anni, e la sua Johnny Be Good, non potte fare molto la piccola etichetta del Mid West per contrastare l’ascesa del “bianco” e brillante Rock and Roll. L’Atlantic e la Sun invece fiutarono molto meglio l’affare e puntarono su nomi come Roy Orbison, Jerry Lee Lewis, Carl Perkins e Bill Haley and is Comets, famosi per la loro leggendaria Around the Clock…1,2,3 o clock 4 o clock Rock!… per intenderci.

Ma fu la Sun Records di Memphis a divenire ben presto la più ricca e potente in quel periodo, grazie a due nomi in particolare: Elvis Presley e Johnny Cash.

Due personalità disarmanti oltre che due artisti eccezionali.

Erano due prodotti perfetti per fare esplodere il rockabilly e poi, in realtà tecnicamente solo Elvis, il rock n’roll: bellocci, tenebrosi e dalle voci profonde ed intense. Johnny virò più sul folk e sul country, abbracciando anche blues e gospel, ma non voleva essere un prodotto commerciale al contrario di Elvis. Era per le minoranze e gli emarginati, tenne uno storico concerto, il primo della storia, nel carcere di massima sicurezza di Folsom in California nel 1968, per regalare ai detenuti una “goccia” di libertà. Concerto dal quale la Columbia Records incise l’altrettanto memorabile album live At Folsom Prison.

Elvis invece era assolutamente perfetto per fare il grande botto, in tutto e per tutto.

Erano ancora gli anni cinquanta ed è normale che la segregazione fosse parte del quotidiano Americano e chi spendeva, chi si poteva permettere un vinile, o andare ad un concerto erano solo i bianchi, per cui è altrettanto normale che se mettiamo su un palco un bel ragazzone dagli occhi blu e la pelle come quella di uno zar Russo che sappia anche cantare e ballare è booooooooom!!!!!!!

Malcom X e Marthin Luther King erano ancora due ragazzi che stavano giusto cominciando a fare la voce grossa, ci vuole ancora un po’perché Ray Charles non salga sul palco in Georgia nel 1961 perché non facevano entrare persone di colore che volevano regolarmente acquistare il biglietto. A proposito di Ray Charles Robinson, per tutti The Genius, all’età di 8 anni perde completamente la vista, ma vedrà per sempre la luce appoggiando le mani su un pianoforte o un organo elettrico qualunque. Per chi non lo avesse visto consiglio vivamente la pellicola sulla sua vita, appunto Ray del 2004 per la regia di Taylor Hackford, con un Jimie Foxx strepitoso nei panni di The Genius. Suonò praticamente qualsiasi genere si suonava allora, compreso il country, tutto quello che era stato inventato fino a quando, e continuò anche dopo inventandone di nuovi, sciaguratamente all’Uruguay non venne la maldestra idea di vincere la finale del mondiale al Maracanà proprio contro i padroni di casa….Quella notte, tra il 16 ed il 17 luglio del 1950, parecchi brasiliani si suicidarono per il dolore e perché avevano scommesso tutto quello che possedevano sulla vittoria della propria nazionale, verrà per sempre ricordato come il Maracanazo quel giorno, ma questa!…è un’altra storia….

Fino alla metà del ventesimo secolo la musica era roba nera negli Stati Uniti d’America, al netto del country, delle influenze degli immigrati britannici e slavi, in particolar modo il folk irlandese, di un giovane Frank Sinatra, The Voice, che cominciava a esibirsi nella metà degli anni trenta, ed i grandi direttori di Big Bands dedite al swing degli anni 30 e 40, tutto quello che era stato creato fino ad allora era di colore nero: blues, spiritual, gospel, soul , rhythm and blues, swing, boogie, boogie woogie, honky thonk, jazz,folk rock, rock and roll (le prime sperimentazioni), rock and blues, folk blues e altre piccole nicchie e filoni di altri generi e sottogeneri….

Ma serviva un prodotto commerciale, e un prodotto commerciale era un genere orecchiabile e ballabile con dei testi leggeri e allegri che spesso erano le istruzioni stesse del ballo, e così dal country, o meglio dal Bluegrass con le mani sempre affondate nella terra del boogie e del blues del Mid West, ecco che viene tirato fuori il rockabilly e subito a rimorchio il Rock n’Roll. Ci metti dietro visi e voci come quelle di Buddy Holly, Elvis Presley e Johnny Cash ed ecco che il gioco è fatto… la torre di controllo aveva dato l’ok per il decollo.

E’ grazie a due secoli di tradizione e cultura Afroamericana e l’intuizione del genio bianco che nasce la grande industria della musica. Gli anni 50 saranno una decade di preludio a quello che sarà il vero è proprio boom, soprattutto con quella che verrà denominata la British Invasion.

Questa è Jailhouse Rock, 1957, e lui è The King of Mamphis, Elvis Presley…

*Honky Thonk= Sono le bettole che venivano usate per le feste clandestine durante il proibizionismo degli anni venti. Erano caratterizzate dalla presenza di un piano forte, il quale, essendo l’unico strumento per fare ballare i presenti, diventa necessariamente la matrice di nuovi sottogeneri del blues: il boogie, il boogie woogie, lo stride e appunto l’honky thonk.

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