70 anni dalla bomba atomica, Hiroshima ricorda l’olocausto nucleare

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Ancora oggi, a 70 anni, il bilancio delle vittime di Hiroshima è provvisorio. A dicembre 1945, quando l’effetto delle radiazioni dell’esplosione scese, si era arrivati a 140mila morti

Hiroshima è un simbolo dell’umanità e della pace. Ogni anno si ripropone, il 6 agosto, con una commemorazione che ricorda quel giorno maledetto del 1945 quando il bombardiere americano Enola Gay lanciò una pillola d’inferno, la prima bomba atomica della storia, su una popolazione inerme e indifesa. Ma quest’anno quel simbolo è più politico che mai, in un Giappone lacerato dai progetti del governo di allargare le maglie di una Costituzione pacifista che garantirebbe alle Forze di autodifesa una maggiore capacità operativa.

LaPresse/Reuters
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La riforma della sicurezza, promossa dal primo ministro Shinzo Abe e poco gradita all’opinione pubblica, in realtà non va a intaccare la lettera dell’Articolo 9 della Costituzione, che ironia della sorte è stata voluta proprio dalle forze d’occupazione americane nell’immediato dopoguerra. Tuttavia ne modifica l’interpretazione garantendo la possibilità di difesa collettiva, cioè l’intervento nel caso in cui un alleato venga attaccato, e di supporto armato in missioni internazionali. E’ un passaggio delicato, che l’esecutivo di Tokyo intende fare anche perché preoccupato dalla crescente assertività della politica estera cinese.
Gli inciampi sono all’ordine del giorno. L’ultimo è capitato proprio oggi: il ministro della Difesa Gen Nakatani ha dovuto ammettere – alla vigilia di Hiroshima – che la norma in discussione alla camera alta non prevede un esplicito divieto di trasportare e conservare armi atomiche per alleati. Nakatani si è affrettato a mettere una pezza. E’ vero che il divieto esplicito non c’è, ma la questione non si pone perché il Giappone resta fedele ai “tre principi non-nucleari”, cioè no alla costruzione, no alla detenzione, no all’acquisizione dell’arma atomica. Sì, certo, gli ha risposto il parlamentare del Partito democratico giapponese Kenzo Fujisue, ma i tre principi “non sono sanciti in alcuna legge”.

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Quindi, in realtà, questo a suo dire mantiene scoperto il fianco. Tokyo, d’altronde, si presenta con credenziali che i Paesi vicini contestano a ogni occasione. Proprio a metà mese, quindi pochi giorni dopo la commemorazione di domani e di quella di domenica a Nagasaki, Abe presenterà la dichiarazione del governo nipponico in occasione del settantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. E, per quanto non dovrebbe discostarsi troppo da quelle definite dai governi precedenti, la tensione su questo passagio è alta. Cina e Corea del Sud vorrebbero scuse più nette e, in qualche caso, riaprire il dossier dei risarcimenti. In questo senso, non aiutano a rendere il clima più leggero le reiterate visite di esponenti ufficiali di Tokyo al santuario shintoista Yasukuni, a Tokyo, dove sono commemorati i soldati morti in guerra per il Giappone, compresi 14 criminali di guerra di classe A. Insomma, tutto questo allontana l’obiettivo dei sopravvissuti alla bomba atomica, i cosiddetti “hibakusha” (“esposto all’atomica”) che, nonostante l’età ormai avanzata, continuano con coraggio a fare da sentinelle della pace e a promuovere la causa della denuclearizzazione in un mondo che, finita la guerra fredda, ha visto una proliferazione incontrollata degli ordigni nucleari.

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Non è un caso che la Confederazione delle organizzazioni giapponesi delle vittime delle bombe A e H (Nihon Hidankyo) abbia oggi criticato la riforma Abe, affermando che potrebbe alterare il tenore pacifista della Costituzione. “La speranza degli hibakusha è di non vedere mai più il Paese fare la guerra: un sentimento che è condiviso anche da molti nell’opinione pubblica“, ha scritto la confederazione in una dichiarazione adottata. Tuttavia, la commemorazione di domani presenta anche qualche elemento positivo. Per la prima volta, per esempio, sarà presente un alto esponente dell’Amministrazione Usa. Rose Gottemoeller, sottosegretario di Stato al controllo delle armi si è detta “onorata” di partecipare alla cerimonia (come anche a quella di Nagasaki, domenica) e sarà accompagnata dall’ambasciatrice Usa a Tokyo Caroline Kennedy, la figlia del defunto presidente John Fitzgerald Kennedy, che partecipa alla cerimonia per il secondo anno consecutivo. Eppure non basta. L’America non ha mai presentato un particolare rimorso per aver lanciato le bombe atomiche e, ancora oggi, la posizione ufficiale è: le bombe hanno posto termine alla guerra e impedito che il bilancio del conflitto si aggravasse ancora di più, contro le evidenze storiche proposte da tanti studiosi. Una dolorosa necessità, insomma. In Giappone in tanti, in primis gli hibakusha, vorrebbero che un presidente americano – e perché non quel Barack Obama, che è l’uomo delle prime volte? – andasse personalmente al Mausoleo dell’atomica di Hiroshima o di Nagasaki a vedere coi propri occhi i terribili danni provocati da quegli ordigni sugli uomini, le donne, i bambini. Lo ricorda bene, perché ce li ha ancora stampati sul viso e sul corpo, Sunao Tsuboi, 90 anni e ancora la voglia di raccontare.

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E’ stata una luce improvvisa, bianca, argentata“, racconta ricordando le 8.15 del 6 agosto 1945, quando la bomba scagliata dall’Enola Gay, denominata vezzosamente “Little Boy” esplose sulla città. “Io non so perché sono sopravvissuto e vivo così a lungo“, ha continuato. “Più ci penso, più quel ricordo è doloroso“. Un pensiero consiviso da tanti hibakusha, costretti a convivere con le ferite del corpo e dell’anima. La bombe esplose a 600 metri dal suolo, sul centro di una città che non aveva nulla dell’obiettivo militare. L’uranio contenuto nella bomba aveva la potenza distruttrice di 16 kilotoni di TNT. Immediatamente al suolo la temperature raggiunse i 4mila gradi, facendo fondere l’acciaio e i materiali, oltre che vestiti e corpi. Alcuni di questi corpi, lasciarono la loro impronta sui muri anneriti degli edifici. Tuboi era a un chilometro e mezzo dall’epicentro. Quando riprese conoscenza la sua camicia, i suoi pantaloni e la sua pelle pendevano come unici brandelli, aveva delle vene appese, una parte delle sue orecchie mancavano. Ha raccontato di aver visto una ragazza i cui globi oculari pendevano dagli occhi, un’altra donna che cercava invano di non far cadere gli intestini dalla pancia.

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Sopravvivere fu un miracolo, per lui come per tanti. Tsuboi ancora oggi continua a subire gli effetti delle ferite, dell’esposizione alle radiazioni e dei chelomi. Ma la sopravvivenza portò la necessità di convivere con l’incubo dell’esposizione alle radiazioni, il rischio di morire da un momento all’altro, anche la discriminazione di chi, attorno, temeva di avere a che fare con qualcuno che, da un momento all’altro, si sarebbe potuto ammalare e forse già lo era. “Io so personalmente come una sola bomba ha cambiato la vita di tanta gente“, ha detto il sindaco di Hiroshima Kazumi Matsui. Ancora oggi, a 70 anni, il bilancio delle vittime di Hiroshima è provvisorio. A dicembre 1945, quando l’effetto delle radiazioni dell’esplosione scese, si era arrivati a 140mila morti. Ma tanti hanno contratto malattie nei decenni e, quindi, il Memoriale che contiene i nomi delle vittime ospita sempre più nomi. Per tutti questi motivi, sempre più leader del mondo dovrebbero andare a Hiroshima, a partire dal presidente americano, afferma Tsuboi. Proprio perché “non dobbiamo dimenticare“.

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