Global warming: boom per i vigneti in Inghilterra, i produttori britannici sorridono

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Il global warming riporta alla ribalta la più o meno mitica Vinland, il nome attribuito dai vichinghi a una loro colonia in America, nella zona di Terranova, raggiunta nel corso di una spedizione cinque secoli prima di Colombo. Il nome, la “Terra del vino”, deriva dal fatto che tra il 1000 e il 1200 d.C., le temperature in Europa e in Nordamerica erano più elevate di 1 grado centigrado rispetto alle medie odierne, consentendo la viticoltura a latitudini elevate. Su Vinland si ha notizia per l’ultima volta nel 1121, poi le temperature diminuirono progressivamente e ineluttabilmente e i ghiacci bloccarono le rotte verso l’America vichinga, condannata da allora a parlare inglese e non un patois di lingue scandinave.

vignetiOggi il global warming si ripropone con ricorrente ciclicità e a beneficiarne, a differenza dei loro colleghi dell’Europa meridionale, sembrano essere i viticoltori inglesi a fronte di una produzione maggiore e di migliore qualità.
“La produzione di vino dipende fortemente dal clima”, spiega Chris Foss, direttore del Dipartimento di viticoltura al Plumpton College, nell’Inghilterra meridionale, primo e unico del suo genere in Gran Bretagna. “La terra è importante ma il clima è decisivo. Quello che cerchiamo di fare qui è produrre vino in condizioni climatiche che permettano la maturazione delle uve ma siano abbastanza fresche da mantenerne fragranza, complessità ed eleganza”.
Generalmente parlando, il riscaldamento globale crea problemi nella produzione vinicola soprattutto nei luoghi caldi destinati a diventare più torridi e asciutti. Bisogna modificare l’irrigazione e trovare nuove varietà e vitigni. Tutto si complica enormemente. A parte che nei paesi che ne possono trarre beneficio. Da Vinlandia all’Inghilterra.

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