Canale di Sicilia, un anno fa il naufragio peggiore degli ultimi decenni: oltre 800 dispersi

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Il 18 aprile del 2015, esattamente un anno fa, è la triste data di uno dei naufragi più drammatici degli ultimi decenni nel Mar Mediterraneo. Un peschereccio eritreo affondava nel Canale di Sicilia con a bordo un numero imprecisato di persone provenienti dalla Libia. Le stime parlano di un numero che va da 700 a 900, ma secondo una testimonianza potrebbe trattarsi di 950 persone. Soltanto ventotto furono i sopravvissuti. Ventiquattro corpi vennero trovati senza vita (nei mesi successivi i corpi recuperati saranno 169), mentre il resto delle persone risulta “disperso”. Un bilancio tragico che fa di questo evento una delle stragi dell’emigrazione nel Mar Mediterraneo più gravi degli ultimi decenni.

mediterraneo_naufragioIl barcone si sarebbe capovolto a causa di una collisione, al largo delle coste libiche. Le circostanze dell’incidente restano poco chiare. Secondo la procura di Catania, il naufragio sarebbe stato causato da una manovra sbagliata dello scafista, che avrebbe provocato una collisione con il mercantile King Jacob, avvicinatosi per prestare aiuto. La strage ebbe grande risalto sui mass media europei, e l’Unione europea convocò per il 23 aprile 2015 un Consiglio Europeo a carattere straordinario per affrontare la questione dei migranti nel Mediterraneo.

Pochi mesi dopo sarebbe iniziato il boom migratorio attraverso il Mar Egeo e i Balcani, con la chiusura delle frontiere durante l’estate 2015.

Secondo il racconto di un sopravvissuto, a bordo del peschereccio potevano esserci fino a 950 persone, tra cui decine di bambini e circa duecento donne. Sempre secondo le testimonianze del sopravvissuto, molti migranti erano stati stipati nella stiva della barca, con le porte chiuse.

È di questi giorni la notizia che il relitto dell’imbarcazione verrà portato nel porto di Augusta. Il peschereccio è stato recuperato a circa 400 metri di profondità. La notizia è stata confermata anche dalla Procura di Catania, titolare dell’inchiesta. La “Marina militare – spiega la Procura – avvalendosi di apparecchiature messe a disposizione da una ditta all’uopo incaricata, provvederà al recupero dell’imbarcazione affondata e delle salme che giacciono all’interno”.

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