«Non ne possiamo più della cultura della “sfiga”. Basta. È indegna di noi. Della nostra intelligenza. Della nostra storia. La natura non è buona o cattiva: se ne infischia di noi. Inutile chiamarla in causa. Cosa saremmo se nei millenni non avessimo imparato a coprirci, scaldarci, arginare i fiumi? I terremoti ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Ed è stupido fingere che non sia così. Bisogna imparare da Umberto Veronesi». Così Renzo Piano, l’architetto di fama mondiale e senatore a vita, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Piano, impegnato nel progetto Casa Italia, tira in ballo Veronesi che, spiega, «ebbe il coraggio di essere chiaro. Disse a tutte le donne: avete dei bellissimi seni ma quei seni sono anche una vostra fragilità. Le donne lo hanno ascoltato. E un po’ alla volta la guerra contro il tumore al seno ha dato risultati eccezionali. Occorre essere onesti anche sui terremoti. Non con i terremotati: purtroppo sono stati già segnati. Ma con i “terremotabili”: milioni di persone devono essere consapevoli di vivere in un Paese meraviglioso ma fragile. E non posso accettare che si tocchino…».
E tornando alla cosiddetta “cultura della sfiga“, ovvero quella per cui si tende a pensare cose tipo “è la natura che possiamo farci“, Renzo Piano sostiene come sia «una disgrazia, quella cultura. C’è bisogno di verità e questa verità deve entrare nella testa della gente. Che deve accettare la realtà come in Giappone. Lì se tu chiedi a un bambino cosa deve fare lui lo sa. Perché sono decenni che glielo spiegano a scuola. Decenni. Questo progetto per un terzo è scientifico, per un terzo è sociale e per un terzo culturale. Ci sono persone che non fanno gli esami per paura di sapere che sono malate. Non vanno terrorizzate ma spinte a conoscere la propria casa, santo cielo, sì. Molti preferirebbero comunque non sapere. Per la paura di scoprire, attraverso la diagnostica, che la loro abitazione è a rischio. Per non dire dei timori per un tracollo del suo valore immobiliare».
«E’ necessaria una rivoluzione culturale – precisa l’architetto – Questa operazione diagnostica deve essere accompagnata da un progetto con il quale il governo in qualche maniera ti aiuta, come ti aiuta per gli aspetti energetici. Ci sarà gente che rifiuterà lo stesso di affrontare il tema: “ormai siamo anziani…”. I figli, magari fra 25 anni, no. Il cantiere fisico deve intrecciarsi col cantiere culturale. Senza cantieri reali, veri, concreti, le nostre sarebbero chiacchiere. Stiamo individuando comuni-tipo e dentro questi comuni una decina di edifici-tipo (la casa di cemento, quella di muratura mista, quella sciagurata coi ciottoli di fiume fatti apposta per rotolare e magari appesantita da un enorme tetto di cemento…) per fare dei prototipi che possano poi servire da modello a tutti. Perché cominciamo dalle case? La casa è il luogo delle certezze. Del rientro serale. Della famiglia. Della intimità. Non può essere un luogo insicuro. Partiremo, ovvio, dalla diagnostica».

«Non esiste la sicurezza totale contro i terremoti come non esiste contro il cancro. Se affronti il problema, se ti curi, se fai quanto la scienza ti offre, però, sei meno esposto. Va da sé che parallelamente dovrà passare l’idea che chi abita una casa non può occuparsi solo delle mattonelle a fiori ma deve porsi anche il problema della sicurezza. Poi, chiaro, è centrale la scuola. Serviranno decenni. È bene che gli scolari ci mettano la testa subito. Anche perché non è solo una questione di sicurezza. Nel momento in cui ci metti mano, questi edifici devono pure diventare più belli. Più funzionali. Più ecologici. Più luminosi. Questo è il Paese che ha inventato la bellezza! Non possiamo pensare a interventi utilissimi ma che producano Frankenstein edilizi. Al patrimonio costruito indecentemente nel Dopoguerra dovremmo dare un po’ di decoro…».