Il reflusso gastroesofageo è un disturbo che colpisce circa il 20% della popolazione. E’ una patologia influenzata da innumerevoli fattori, primo fra tutti stile di vita e stress.
I sintomi ad esso correlato sono molteplici, come rigurgito acido, bruciori (pirosi) e dolore retrosternale:
“Vi sono poi casi in cui il quadro clinico è dominato da sintomi atipici, come dolore toracico sovrapponibile a quello di natura cardiaca, e sintomi otorinolaringoiatrici o che interessano le vie aeree superiori e il cavo orale – spiega il professor Pier Alberto Testoni, direttore dell’Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
“Solo di recente, abbiamo capito che le compromissioni di questi apparati (che si manifestano con asma, raucedine, tosse, erosione dei denti, otiti, laringiti, faringiti) possono essere dovute alla malattia da reflusso”.
“Un altro fattore importante è la motilità esofagea – spiega il gastroenterologo – in caso di permanenza in esofago di materiale acido (acido cloridrico e bile) proveniente dallo stomaco, si crea un’infiammazione e un danno all’epitelio. Le microlesioni che ne derivano danno origine a disturbi anche importanti, anche se non si documentano lesioni visibili a carico della mucosa dell’esofago”.
“In presenza di sintomi tipici e recenti, il paziente viene trattato con farmaci che inibiscono la produzione di acido, come gli inibitori della pompa protonica (PPI) e con gli H2 antagonisti” spiega il professor Pier Alberto Testoni. “Se la storia è lunga o se il soggetto non risponde ai farmaci, è necessario indagare con una gastroscopia la salute dell’esofago”.
Questo specifico esame permetterebbe di confermare la presenza di un’esofagite e di definirne la severità.
Un altro esame clinico molto più specifico, la manometria esofagea, consente invece di misurare con precisione la motilità dell’esofago e della valvola del cardias e di valutare l’efficienza di quel processo di auto-cleaning che, anche attraverso la deglutizione, evita il ristagno nell’esofago dell’acido.
Infine, “un’altra indagine approfondita, utile anche in presenza di sintomi atipici di cui si vuole indagare l’eventuale origine da reflusso, è la pH-impedenziometria, esame che nell’arco delle 24 ore misura entità, composizione e estensione del reflusso e dei gas provenienti dallo stomaco, associando questi parametri ai sintomi riportati dal paziente per una diagnosi dettagliata”.
“Sono necessarie terapie ben condotte- raccomandano gli esperti- per abbassare il rischio di sviluppare l’Esofago di Barrett, situazione che può predisporre in qualche caso all’adenocarcinoma esofageo, per cui in presenza di questa patologia andrebbero eseguiti dei controlli endoscopici con tecniche di immagine avanzate e biopsie ogni due anni”.
“Una lunga storia di reflusso rende meno evidenti i sintomi, anche in presenza del Barrett: attenzione quindi al miglioramento in un paziente di lunga data, occorre procedere subito con indagini bioptiche”.
Curare la patologia con medicinali che bloccano la secrezione acida non è una soluzione priva del tutto di rischi: gli effetti collaterali sono molti, tra cui anemia, osteoporosi, maggiore predisposizione ad infezioni gastrointestinali ed incremento del numero delle ghiandole gastriche deputate alla secrezione acida, con sviluppo di polipi cistici dello stomaco.
In ragione di ciò sarebbe consigliabile prestare massima attenzione agli alimenti consumati a tavola e tenere sempre d’occhio il peso corporeo. Indispensabile evitare alimenti che possono aumentare l’acidità, come tè, caffè, menta e cioccolata.