Era nato il 9 maggio 2016, avrebbe compiuto due anni fra una decina di giorni Alfie Evans, morto nella notte all’ospedale pediatrico Alder Hey di Liverpool. Il suo destino è stato segnato da una grave condizione neurologica degenerativa che i medici non sono riusciti a identificare in modo definitivo.
L’incubo comincia a dicembre 2016, quando Alfie viene ricoverato per la prima volta all’Alder Hey Children’s Hospital, dopo essere stato colpito da convulsioni. Da allora le sue condizioni peggiorano fino a ridurlo in uno stato semi-vegetativo, secondo quanto è emerso sui media nel corso della sua vicenda.
E’ cominciata così una dura battaglia legale giocata a colpi di appelli e ricorsi – anche in sede europea – sul migliore interesse del piccolo paziente, che per i medici dell’ospedale era l’interruzione dei supporti che lo tenevano in vita, mentre i genitori avrebbero voluto continuare i trattamenti. Tanto da chiedere il trasferimento del piccolo all’ospedale Bambino Gesù di Roma, che aveva dato disponibilità ad accoglierlo.
Il piccolo è stato colpito da una rara encefalopatia neurodegenerativa con epilessia, che – spiegano gli esperti – può rientrare nell’ambito delle Epilessie miocloniche progressive.
“L’epilessia mioclonica progressiva è una sindrome che può avere diverse eziologie”, ha spiegato nei giorni scorsi all’AdnKronos Salute Matilde Leonardi, pediatra e neurologa dell’Irccs Besta di Milano, dove dirige il Coma Research Centre. Leonardi è fra gli specialisti dell’istituto milanese che, su impulso della famiglia Evans, si erano messi a disposizione. Al Besta infatti era stata chiesta un’eventuale disponibilità per una seconda opinione diagnostica, richiesta appunto “per la mancanza di una diagnosi definitiva sulla condizione del piccolo”, aveva chiarito l’esperta, e proprio “su questo fronte ci era stato chiesto un contributo: sulla comprensione della causa della patologia”. Patologia “complessa, la cui manifestazione clinica è difficile da prevedere”.
Ma la vicenda di Alfie verrà ricordata anche per il suo risvolto giuridico. Il caso viene esaminato per la prima volta dal giudice Anthony Hayden dell’Alta Corte di Liverpool il 19 dicembre 2017. Per due volte viene interpellata anche la Corte europea per i diritti dell’uomo. Ma tutti i tentativi si rivelano senza successo per i genitori di Alfie. E nella serata del 23 aprile, dopo una giornata convulsa che ha visto un ritardo nell’esecuzione della sentenza per il distacco dalle macchine, il respiratore che tiene in vita Alfie viene staccato, intorno alle 21.
Il bimbo, secondo quanto riferisce la famiglia, continua a respirare autonomamente. A 10 ore dal distacco del respiratore, l’ospedale concede acqua e ossigeno. L’ultimo atto della vicenda legale si consuma il 25 aprile, con la Corte d’Appello di Londra che boccia l’ultimo tentativo degli Evans di trasportare il piccolo in aereo da Liverpool al Bambino Gesù di Roma. Dopo quasi 5 giorni dall’interruzione della ventilazione, Alfie smette di lottare.
In tutti questi mesi una grande mobilitazione di migliaia di sostenitori organizzati in un vero e proprio movimento, la Alfies Army, una community da oltre 800 mila iscritti su Facebook da ogni parte del mondo, che sul web e con mobilitazioni davanti all’ospedale, ha condotto una battaglia parallela a sostegno della causa della famiglia Evans. Tante le istituzioni scese in campo.
Fino allo stesso Papa Francesco, che ha espresso pubblicamente sostegno alla famiglia e incontrato il papà di Alfie, e al governo italiano che il 23 aprile nel giro di poche ore, su proposta dei ministri Alfano e Minniti, avvia la procedura per concedere la cittadinanza italiana al bambino, nell’ottica di favorire un eventuale trasferimento nell’ospedale romano.
Un dibattito tra scienza e etica che potrebbe aprire a profonde riflessioni, sul diritto della vita, sul valore della vita stessa. Su quanto davvero possiamo deciderne il termine. Ma nulla potrà cambiare lo stato delle cose: oggi l’ultimo commosso saluto a questo piccolo eterno guerriero. Ciao Alfie.