Salviamo il Paesaggio: incontro in Sicilia sabato 28 aprile 2108 [VIDEO]

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Il suolo è da intendersi come lo strato superficiale della Terra, la pelle viva del pianeta Terra. Una pellicola fragile. Nel suolo vivono miliardi di creature viventi, un quarto della biodiversità di tutto il pianeta. Il suolo è una risorsa finita non rinnovabile e per questo preziosa almeno al pari dell’acqua, dell’aria e del sole.

Secondo l’ISPRA-Istituto Superiore di Protezione Ambientale il consumo di suolo in Italia non conosce soste, pur segnando un importante rallentamento negli ultimi anni. Dopo aver toccato anche gli 8 metri quadrati al secondo negli anni 2000 (tra i 6 ed i 7 metri quadrati al secondo è la media degli ultimi 50 anni), il rallentamento iniziato nel periodo 2008-2013 a causa della crisi economica si è consolidato negli ultimi due anni con una velocità ridotta di consumo di suolo, che continua però, sistematicamente e ininterrottamente, a ricoprire aree naturali e agricole con asfalto e cemento, fabbricati residenziali e produttivi, centri commerciali, servizi e strade.

Il suolo consumato è passato dal 2,7% degli anni ’50 al 7,6% stimato per il 2016. In termini assoluti, il consumo di suolo si stima abbia intaccato ormai oltre 23.000 chilometri quadrati del nostro territorio: una superficie pari all’Emilia Romagna.

ISPRA evidenzia, inoltre, i costi generati dal consumo di suolo in termini di perdita di servizi ecosistemici (l’approvvigionamento di acqua, cibo e materiali, la regolazione dei cicli naturali, la capacità di resistenza a eventi estremi e variazioni climatiche, il sequestro del carbonio – valutato in rapporto non solo ai costi sociali ma anche al valore di mercato dei permessi di emissione – e i servizi culturali e ricreativi), solitamente non contabilizzati.

In sintesi il dato nazionale evidenzia che la perdita economica di servizi ecosistemici è compresa tra i 538,3 e gli 824,5 milioni di euro all’anno, che si traducono in una perdita per ettaro compresa tra i 36.000 e i 55.000 euro.

Secondo l’ISTAT nel nostro Paese sono presenti oltre 7 milioni di abitazioni non utilizzate, 700 mila capannoni dismessi, 500 mila negozi definitivamente chiusi, 55 mila immobili confiscati alle mafie.

“Vuoti a perdere” che snaturano il paesaggio e le comunità a contorno. Tutto ciò a fronte di un andamento demografico (dovuto essenzialmente dall’ingresso di nuova popolazione dall’estero) che indica una crescita debole, tanto è vero che nel triennio 2012-2016 le morti hanno superato le nascite; nel 2017 la popolazione italiana era pari a 60.579.000 persone, circa 86 mila in meno rispetto al 2016, e sostanzialmente stabile dal 2014.

Gran parte degli edifici di nuova costruzione oggi in vendita nel nostro Paese sono stati costruiti diversi anni fa e registrano nel 2015 un invenduto pari a 90.500 unità (abitazioni ancora in costruzione e non ancora sul mercato escluse), nel contempo sono presenti immobili vetusti e quasi inutilizzabili che avrebbero invece bisogno di essere ristrutturati e riqualificati con evidenti benefici sia economici e sia di decoro e senza gravare sul suolo libero.

La crisi economico-finanziaria di questi anni ha sedimentato in seno agli istituti bancari una grande quantità di immobili, pignorati in parte a cittadini “impoveriti” e, in prevalenza, alle imprese del settore impegnate in operazioni edilizie fallite per esubero di offerta. Non a caso i principali istituti di credito hanno aperto un filone “real estate” per smaltire un patrimonio in progressiva svalutazione che grava sui loro bilanci. Le principali sofferenze derivano dal comparto costruzioni e

immobiliare, con il 41,7% dei prestiti deteriorati: una quota molto importante, che denuncia un’economia sbilanciata, troppo esposta su questo settore.

Il Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e forestali ci ricorda, inoltre, che il nostro Paese è in grado, oggi, di produrre appena l’80-85% del proprio fabbisogno primario alimentare, contro il 92% del 1991. Significa che se, improvvisamente, non avessimo più la possibilità di importare cibo dall’estero, ben 20 italiani su 100 rimarrebbero a digiuno e che quindi, a causa della perdita di suoli fertili, il nostro Paese oggi non è in grado di garantire ai propri cittadini la sovranità alimentare.

Tanto che la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) si è ridotta a circa 12,7 milioni di ettari con 1,7 milioni di aziende agricole, superficie che nel 1991 era quasi 18 milioni di ettari.

A livello globale il nostro Pianeta ha già perso un terzo del suo terreno coltivabile – a causa dell’erosione o dell’inquinamento – negli ultimi 40 anni, con conseguenze definite disastrose in presenza di una domanda globale di cibo che sale alle stelle: quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto a un tasso che supera il ritmo dei processi naturali in grado di sostituire il suolo consumato.

E nel 2050 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di persone: risulta, pertanto, necessario incrementare la produzione agricola in Italia e nel mondo di almeno il 30%.

7.145 sono i comuni italiani (l’88,3 % del totale) interessati da qualche elemento di pericolosità territoriale; tra questi il 20,3 % (1.640 comuni) presentano aree ad elevato (P3) o molto elevato (P4) rischio frana, il 19,9

% (1.607 comuni) presentano aree soggette a pericolosità idraulica (P2) mentre il 43,2 % (3.893 comuni) presentano un mix dei rischi potenziali (P2, P3, P4).

Per queste considerazioni, il contrasto al consumo di suolo (parte integrante di un’azione di contrasto al cambiamento climatico) dev’essere considerato una priorità e diventare una delle massime urgenze dell’agenda parlamentare per i numerosi benefici indotti che ne derivano, di carattere sociale, ecologico ed economico.

Nel video il Prof. ing. Paolo Pileri “llustra” l’importanza del Suolo con un esempio “gustoso”!

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