WeWorld Index 2018: l’Italia perde 9 posizioni e diventa fanalino di coda europeo per l’inclusione di donne e minori

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Si è tenuta oggi presso l’Università della Calabria la presentazione del WeWorld Index 2018, l’indice che misura il tasso di inclusione di donne e minori in Italia e all’estero, elaborato dall’Organizzazione non Governativa impegnata da quasi vent’anni nella difesa di donne e bambini in Italia e nel Mondo.

La presentazione, avvenuta in occasione della seconda edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso da AsviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile)  di cui WeWorld fa parte, è stata l’occasione per contribuire alla misurazione del raggiungimento degli obiettividell’Alleanza; nello specifico l’Obiettivo 4 relativo all’istruzione di qualità per tutti.

Attraverso la presentazione del WeWorld Index 2018, la Onlus ha analizzato le 5 barriere a un’educazione inclusiva e di qualità con particolare attenzione verso la barriera della povertà educativa ereditaria, che secondo il rapporto caratterizza il nostro Paese,

In Italia bambini, adolescenti e donne rischiano più che in tutti gli altri Paesi europei di essere soggetti a esclusione sociale e di essere maggiormente esposti al rischio di povertà rispetto ai maschi adulti. Questi i risultati emersi dall’Index 2018 presentato da Elena Caneva, Coordinatrice Centro Studi WeWorld Onlus, durante la tavola rotonda che ha visto la partecipazione del Prof. Stefano Lucarelli (Università di Bergamo), della Prof.ssa Giovanna Vignelli (Università della Calabria) e della Dott.ssa Emanuela De Cicco, Education Specialist e Fundraiser UNICEF.

Nella classifica stilata quest’anno dal WeWorld Index 2018, l’Italia è fanalino di coda tra i Paesi europei per l’inclusione, perdendo, rispetto agli anni precedenti, ben 9 posizioni: è 27° su 171 Paesi mentre era 18° su 167 nel 2015; anche rispetto al gruppo del G20 l’Italia è tra i 6 Paesi con la performance peggiore.

La classifica è il risultato della valutazione del progresso di un Paese ottenuto osservando le condizioni di vita dei soggetti più a rischio esclusione, attraverso l’analisi di 17 dimensioni (abitazione, ambiente, lavoro, salute, etc.) e 34 indicatori (scelti tra i più significativi tra quelli analizzati da banche dati internazionali OMS, UNICEF, Banca Mondiale etc.).

Ambiente meno sostenibile, rischio sempre più elevato di essere colpiti da disastri naturali, ma anche violenza di genere e presenza minoritaria delle donne nelle posizioni politicamete rilevanti, sono solo alcune delle dimensioni prese in esame dall’Index per la valutazione dei Paesi europei ed extraeuropei più o meno inclusivi.

In cima alla classifica tra i Paesi più virtuosi troviamo quelli del Nord Europa con in testa l’Islanda con 112 punti (53 in più rispetto all’Italia), che per la prima volta scalza la Norvegia, mentre chiude la classifica la Repubblica Centroafricana con -146 punti. Si posizionano al 27° posto, come l’Italia, anche gli Stati Uniti, seguiti da Brasile (78° -17 posizioni), Argentina (41° -6 posizioni), Messico (75° -20 posizioni) e Turchia (92° -8 posizioni).

Su 171 Paesi, presi in considerazione dall’Index, sono 100 quelli in cui WeWorld ha rilevato forme insufficienti di inclusione come il Nepal o la Cambogia (rispettivamente al 121° e 114° posto) o forme gravi o gravissime di esclusione come il Benin in 143esima posizione e il Kenia in 130esima. Considerando invece solo le ultime due categorie dell’index, povertà educativa e violenza, sono 50 su 171 i Paesi che presentano forme insufficienti di inclusione o forme gravi e gravissime di esclusione; 50 Paesi in cui si concentra il 59% della popolazione mondiale (54% nel 2017).

La classifica che emerge dall’Index prende in cosiderazione tanto i Paesi europei, a noi geograficamente vicini, quanto i Paesi extraeuropei – ha dichiarato Marco Chiesara, Presidente WeWorld Onlus – in modo che siano immediatamente visibili le realtà in cui un intervento a favore dell’inclusione delle fasce più deboli della popolazione sia considerato primario per la costruzione di società più giuste ed eque che già esistono ma rimangono limitate  a pochi virtuosi”.

La novità del WeWorld Index 2018 è la centralità data all’educazione. Conconsiderata come elemento fondamentale per l’inclusione di donne, bambine, bambini e adolescenti all’interno della società, l’educazione diventa il mezzo attraverso cui un Paese riesce a evolversi, garantendo i diritti fondamentali di eguaglianza e pari accesso alle risorse a donne e uomini indistintamente.

Sono 5 le barriere da eliminare, secondo il WeWorld Index 2018, per assicurare a tutti i bambini e bambine l’accesso a un’educazione inclusiva, elemento primario e fondamentale per la creazione di una società più equa:

  1. scarsa nutrizione (che blocca o limita la partecipazione scolastica)
  2. migrazione (che interrompe i percorsi d’istruzione)
  3. discriminazioni di genere (radicate in norme e consuetudini)
  4. violenza (nelle relazioni sociali e famigliari)
  5. povertà educativa (che, in combinazione con quella economica, diventa ereditaria)

Per ognuna delle 5 barriere WeWorld Onlus ha individuato 5 Paesi che maggiormente ne sono caratterizzati. Si parte dal Kenya che WeWorld Onlus ha individuato come il Paese rappresentante la barriera della malnutrizione. Nella contea di Mingori, dove opera la Onlus, il 26,4% dei bambini con meno di 5 anni soffre di denutrizione cronica e il 9% è sottopeso. Segue l’India, rappresentante della barriera delle migrazioni, dove il 40% dei migranti sono minori di 18 anni e dove il 34% dei bambini coinvolti negli spostamenti abbandona il percorso di studi prima del conseguimento di un titolo.

A rappresentare la discrimionazione di genere, secondo il WeWorld Index, è il Nepal dove al 37% delle bambine è imposto un matrimonio combinato prima dei 18 anni e al 10% prima del compimento dei 15 anni. Il Brasile invece diventa significativo per la barriera della violenza sociale e intrafamigliare, i dati più recenti dell’IPEA (2017) infatti sono allarmanti: in alcuni stati del Paese i tassi di omicidio sono il doppio della media nazionale (58,1% nel Sergipe, 46,7% nel Ceará) mentre le donne uccise dal proprio marito sono state 4.621 nel 2015.

Infine è l’Italia a rappresentare l’ereditarietà della povertà educativa, qui infatti solo l’8% dei giovani figli di genitori senza diploma di scuola superiore si laurea, rispetto al 68% di laureati provenienti da famiglie in cui entrambi i genitori hanno conseguito un diploma di laurea.

Dall’analisi di WeWorld Onlus emerge inoltre che la dispersione scolastica nel Mezzogiorno è superiore al 20%, e che 1.292.000 ragazzi under 18 vive in condizioni di povertà. Inoltre il 9,4% della popolazione studentesca, con cittadinanza non italiana, è 3 volte più a rischio di dispersione rispetto ai coetanei.

“Dalla nostra analisi emerge che l’educazione è una precondizione necessaria alllo sviluppo economico e quindi all’aumento del tasso di inclusione di un Pese – ha dichiarato Marco Chiesara, Presidente WeWorld Onlus – come confermano infatti i dati UNESCO dello scorso anno, in caso di completamento della scuola secondaria conteremmo 400 milioni di poveri in meno nel mondo; e l’Italia non è da meno, il superamento della dispersione scolastica potrebbe avere un impatto sul PIL nazionale di diversi punti percentuali, fino al 6%”.

 

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