Tumore al seno: 2 marcatori predicono l’efficacia della chemio, lo studio italiano

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Uno studio condotto all’Istituto nazionale tumori di Milano ha permesso di identificare “per la prima volta” due nuovi “potenziali biomarcatori predittivi di sopravvivenza libera da progressione per i trattamenti chemioterapici convenzionali a base di platino nel carcinoma mammario triplo-negativo“: lo studio, durato 10 anni, è stato pubblicato su “Scientific Reports”.

Potrebbe essere sufficiente fare un paio di frazioni per sapere in anticipo se la chemio contro il cancro al seno sarà efficace oppure no: l’operazione da fare è calcolare il rapporto fra alcune cellule del sangue (neutrofili o piastrine) e i linfociti, soldati del sistema immunitario.

Quello al seno triplo-negativo – sottolineano gli esperti dell’Irccs – è al momento la forma più aggressiva di tumore maligno della mammella; rappresenta il 10-20% dei casi di metastasi nel carcinoma mammario, ed è caratterizzato dalla mancanza di bersagli terapeutici e da un’elevata mortalità. Gli studi prospettici più recenti dimostrano una sopravvivenza libera da progressione mediana e una sopravvivenza globale che non superano, rispettivamente, i 6 mesi e i 12-18 mesi.

Il carcinoma mammario triplo-negativo metastatico rappresenta il tumore della mammella con le minori possibilità di cura. Identificare pazienti che probabilmente trarranno minore beneficio dalla chemioterapia standard potrebbe essere utile a suggerire strategie terapeutiche alternative, tra cui trattamenti sperimentali con nuovi farmaci immunoterapici o terapie volte a colpire il metabolismo della cellula tumorale, come la dieta mima-digiuno o gli inibitori della glutaminasi,” spiega Claudio Vernieri, Dipartimento di oncologia medica ed ematologia dell’Int, coautore dello studio.

Diversi studi condotti negli ultimi anni – ricordano gli oncologi milanesi – hanno dimostrato che alcune popolazioni di cellule del sistema immunitario, tra cui i linfociti, giocano un ruolo cruciale nel mediare l’efficacia dei trattamenti chemioterapici. Mentre altre popolazioni di cellule del sangue, tra cui i neutrofili e i monociti, sono associate a un maggiore stato infiammatorio e a una peggiore risposta alle terapie. Lo studio monocentrico dell’Int ha quindi valutato l’impatto di due indicatori dello stato di attivazione del sistema immunitario e dell’infiammazione, e cioè il rapporto tra il numero di neutrofili e linfociti e quello tra piastrine e linfociti, in pazienti con carcinoma mammario triplo-negativo metastatico, trattate con chemio contenente carboplatino.

I risultati dimostrano che questi due indicatori sono in grado di predire l’efficacia della terapia convenzionale: in particolare, le pazienti ne traggono minore beneficio quando entrambi i rapporti sono elevati,” prosegue Vernieri. “Il nostro studio aggiunge un ulteriore, piccolo tassello nell’ambito delle terapie personalizzate. Dimostra come alcuni marcatori che esprimono lo stato immunologico e infiammatorio dell’organismo, e in particolare il rapporto tra neutrofili e linfociti o piastrine e linfociti, siano associati a un maggiore o minore beneficio dal trattamento chemioterapico a base di carboplatino in pazienti affette da carcinoma mammario triplo-negativo metastatico“.

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