La vicenda del piccolo Julen, 2 anni e mezzo, caduto in un pozzo vicino Malaga sta tenendo tutti con il fiato sospeso. Il piccolo è caduto in un pozzo non segnalato di 25cm di diametro e 110m di profondità mentre giocava, domenica 13 gennaio. Sono ormai passati diversi giorni e, considerando che non è possibile raggiungere il fondo del pozzo, i soccorritori hanno deciso di scavare un tunnel laterale per raggiungere il punto in cui si crede si trovi Julen. Sono ore interminabili e di enorme angoscia per i genitori, che già nel 2017 avevano perso un altro figlio colto da “morte improvvisa”.
E indubbiamente è una vicenda che colpisce profondamente tutti, anche fuori dai confini statali. Purtroppo non è il primo caso di bambini caduti accidentalmente in pozzi non segnalati o illegali. In Italia negli ultimi anni si sono verificate 3 di queste tragedie, la più nota delle quali coinvolse il piccolo Alfredo Rampi, detto Alfredino, di 6 anni. Il tragico incidente, poi ribattezzato “L’incidente di Vermicino”, avvenne il 10 giugno del 1981 in una campagna vicino a Frascati. Alfredino stava tornando da una passeggiata in campagna con la famiglia, quando chiese e ottenne di poter proseguire da solo il cammino verso casa. Giunti a casa i genitori non lo trovarono e scattarono subito le ricerche, che coinvolsero anche le forze dell’ordine. Alla fine si scoprì che il piccolo era caduto in un pozzo artesiano (pozzo in cui le acque sotterranee arrivano in superficie senza ausili meccanici) profondo circa 80 metri e largo 28cm, recentemente scavato.
Inizialmente si stimò che Alfredino si trovasse a 36 metri di profondità a causa di una curva o rientranza del pozzo. Le operazioni di salvataggio si rivelarono subito difficilissime: il tentativo di far scendere con una corda una tavoletta alla quale far aggrappare il bambino per tirarlo su si rivelò una pessima decisione. La tavoletta rimase bloccata a 24 metri, quindi molto più in alto rispetto al bambino, e la corda che avrebbe dovuto ritirarla su si spezzò. Il tunnel ne risultò ostruito e avrebbe prodotto poi non pochi problemi nei soccorsi. Alla fine si decise di optare per la perforazione di un tunnel parallelo ma le caratteristiche del terreno richiesero fino a circa 36 ore di lavoro. Quando finalmente si raggiunse il pozzo, si scoprì che il piccolo, probabilmente a causa delle vibrazioni provocate dagli scavi, era sceso a 60 metri di profondità.
Ormai l’unica soluzione era tentare il recupero con la discesa di qualche volontario. Ci provarono diverse persone: speleologi, esperti di pozzi, persone comuni, nani e persino un contorsionista circense. Ma nessun tentativo andò a buon fine: nonostante in diverse occasioni si raggiunse il bambino, problemi con l’imbracatura o altri metodi impiegati per tirarlo su fallirono e in una di queste il piccolo Alfredino riportò anche la frattura di un polso. Alla fine Alfredo Rampi morì il 13 giugno, dopo circa 60 ore di angoscia e agonia. Dalla triste vicenda emerse anche l’incapacità dei soccorsi, la mancanza di organizzazione e coordinamento, che alla fine portarono alla nascita della Protezione Civile.
Sempre in Italia, il 20 aprile del 1996 il piccolo Nicola Silvestri, 3 anni, di Scerni (provincia di Chieti), cadde in un pozzo artesiano in località Corre Marrollo. Stava giocando in giardino sotto gli occhi vigili della madre, esplorando il suo piccolo mondo con la curiosità tipica dei bambini. E fu proprio quando la madre, Lucia Di Stefano, si allontanò per recarsi in cucina che avvenne la tragedia. Al suo ritorno pochi minuti dopo, Nicola non c’era più: venne cercato ovunque dalla famiglia che avvertì subito le forze dell’ordine. Furono vagliate numerose ipotesi, dall’allontanamento che avrebbe portato il piccolo a perdersi all’incidente stradale. Furono ispezionati numerosi pozzi artesiani delle campagne vicine ma nulla. Alla fine fu ritrovato nel pozzo a soli 7 metri da casa, coperto solo da alcune tavole non fissate che con ogni probabilità si aprirono sotto il peso del bambino. E dire che le forze dell’ordine avevano guardato dentro quel pozzo all’inizio delle ricerche ma senza trovarvi nulla o alcun segno che potesse indicare che fosse lì. Invece il piccolo Nicola era proprio lì, sotto 4 metri di acqua. Fu ritrovato la stessa sera ma purtroppo già morto per annegamento.
E ancora nel 2017, solo due anni fa, un bambino di origini rumene, Adrian Costan, di soli 23 mesi, cadde in un pozzo del giardino di casa, con un muretto di recinzione di appena 40cm, a Velletri mentre giocava con la sorellina di 3 anni. Fu proprio lei a lanciare l’allarme e a far calare il nonno nel pozzo profondo 8 metri e con l’acqua che aveva raggiunto i 4 metri di altezza, che lo tenne con la testa fuori dall’acqua fino all’arrivo dei soccorsi. Il piccolo Adrian, però, morì due giorni dopo in ospedale, dove era giunto in stato di coma con diagnosi di annegamento e arresto cardiocircolatorio.
Anche fuori dal nostro Paese sono diversi i casi di questi terribili incidenti. Uno dei più antichi e probabilmente anche uno tra i più noti, avendo poi ispirato diversi film, avvenne l’8 aprile del 1949 a San Marino (California). La piccola Kathryn “Kathy” Anne Fiscus, 4 anni e mezzo, stava giocando in un campo quando precipitò in un pozzo abbandonato. Il padre, che lavorava per una compagnia idrica locale, lo conosceva bene e più volte ne aveva sollecitato la chiusura alle autorità competenti. Per salvare Kathy si impiegò qualsiasi mezzo: trivelle, bulldozer, gru, autocarri e addirittura 50 riflettori arrivati direttamente dagli studi di Hollywood, a sottolineare la grande cooperazione che la tragedia scatenò. Kathy fu raggiunta a circa 30 metri di profondità dopo poco più di 48 ore ma ormai non c’era più niente da fare: morì per asfissia.
Restando sempre negli USA ma andando avanti nel tempo fino al 1987, arriviamo alla storia di Jessica McClure Morales, 1 anno e mezzo, caduta nel pozzo del giardino della zia il 14 ottobre. Furono necessarie 58 ore di lavoro per liberare la piccola bloccata a 6,7 metri circa di profondità, nel pozzo largo circa 20 cm. La terribile vicenda ebbe un lieto fine anche se Jessica riportò l’amputazione di un dito del piede andato in cancrena per insufficiente apporto di sangue mentre era nel pozzo e una cicatrice sulla fronte per avere urtato la testa contro le pareti. In tutto il 1987 fu sottoposta a 15 interventi chirurgici. Jessica, ora quasi 33enne, si è sposata ed ha due figli ma non ricorda direttamente l’accaduto.
Nel 2012, infine, in un villaggio vicino a Manesar, a 40km da Nuova Delhi, Mahi, bambina di 5 anni, cadde in un pozzo profondo 25 metri. Fu estratta oltre 3 giorni dopo, ma era ormai troppo tardi.
Sono troppe le tragedie di questo tipo che si sono verificate nel corso degli anni e a farne le spese sono sempre bambini innocenti, desiderosi di vivere ed esplorare il mondo, che pagano il prezzo della superficialità e dell’indolenza dell’uomo, spesso anche di quelle stesse persone, genitori e parenti, che invece avrebbero il compito di proteggerli. Il mondo intanto resta in attesa e spera che per il piccolo Julen tutto si possa risolvere per il meglio.