La situazione sta precipitando in Libia dove la violentissima guerra civile diventa sempre più pesante e sanguinosa. Il Libya Observer riferisce di pesanti scontri in atto oggi pomeriggio tra l’Esercito nazionale libico del maresciallo Khalifa Haftar e le milizie a protezione della capitale, nella localita’ di Ain Zara, a pochi chilometri a sud di Tripoli, mentre l’Oms ha aggiornato il bilancio dall’inizio dell’offensiva di Khalifa Haftar contro Tripoli lanciata il 4 aprile scorso, documentando almeno 147 morti e 614 feriti. L’inviato speciale dell’ONU in Libia Ghassan Salamè, tramite un tweet di Patrick Wintour, corrispondente diplomatico del Guardian, esclude la possibilità di incontri negoziali tra le parti in guerra e parla esplicitamente di “tentativo di colpo di Stato“.
L’offensiva avviata nell’area di Tripoli dal generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica e autoproclamato comandante dell’Esercito nazionale libico, “è più un golpe” che un’operazione contro il terrorismo: Ghassan Salamè, in un’intervista al programma radiofonica “R4” dell’emittente britannica “Bbc”, ha spiegato che il generale Haftar “è sostenuto da alcuni di paesi“, senza tuttavia precisare quali. “Questo è iniziato tre o quattro anni fa in una logica di antiterrorismo“, ha detto Salamè, precisando tuttavia che quanto sta accadendo sul terreno a Tripoli è “un tentativo di controllare la capitale del paese, dove vive almeno un terzo della popolazione“, circa due milioni di persone. Un tentativo, ha proseguito l’inviato Onu, reso ancora più evidente dal fatto che il generale Haftar “ha emesso un mandato di arresto” nei confronti del primo ministro Fayez al Serraj: “questo suona più come un golpe che come (un’operazione) antiterrorismo“, ha detto ancora Salamè.
Parlando con il Corriere della Sera, che pure da’ un’anticipazione dell’intervista, il presidente del governo di salvezza nazionale, Fayez al Serraj, ribadisce che “il peggioramento della situazione in Libia potrebbe spingere 800 mila migranti e cittadini libici verso le coste europee e l’Italia“. Il premier inoltre sottolinea che in questo enorme numero di migranti ci sono anche criminali e soprattutto jihadisti legati all’Isis. “Ho ripetuto piu’ volte che questa è una vera e propria guerra contro di noi, una guerra che ci è stata imposta“, continua Serraj parlando con il Corriere. “Noi siamo una popolazione pacifica. Le nostre forze armate e la nostra popolazione si sta difendendo“. E ancora: “Ci auguriamo che la comunità internazionale operi al più presto per la salvezza dei civili. Dall’altra parte stanno attaccando le strutture civili, le strade, le scuole, le case, l’aeroporto e le strutture mediche: ambulanze e ospedali. Il generale Haftar dice che sta attaccando i terroristi ma qui ci sono solo civili. Domenica in realtà avrebbe dovuto iniziare la conferenza nazionale libica e invece l’azione di Haftar ha bloccato l’incontro“.
“Ringrazio l’Italia – afferma ancora Serraj – per aver tenuto aperta la sua ambasciata, per mantenere in funzione l’ospedale da campo a Misurata, per il supporto politico che il governo Conte ci sta offrendo. Ma siamo di fronte a una guerra di aggressione che potra’ diffondere il suo cancro in tutto il Mediterraneo“. In particolare, il premier libico lancia un allarme che riguarda in primis il nostro Paese: “Non ci sono solo gli 800 mila migranti potenzialmente pronti a partire, ci sarebbero i libici in fuga da questa guerra, e nel Sud della Libia sono gia’ ritornati in azione i terroristi dell’Isis che il governo di Tripoli con l’appoggio della città di Misurata aveva scacciato da Sirte 3 anni fa“. E ancora: “L’azione a tradimento di Haftar – continua Serraj – porterà distruzione alla Libia e ai Paesi vicini, non sarà possibile nessuna trattativa se non cesserà il suo attacco alla popolazione e se non si ritirerà“. I consiglieri di Serraj – scrive ancora Repubblica nell’anticipazione dell’intervista pubblicata oggi sul sito – “rivelano che nei giorni scorsi il ministero degli Interni ha arrestato proprio a Tripoli un primo terrorista dell’Isis arrivato da Sebha, impegnato in una operazione di riconoscimento per individuare obiettivi da attaccare“.