Dolore cronico: uno studio Italia-Usa getta le basi per nuove terapie senza ricorrere ad oppiacei

Il dolore cronico è una patologia di cui soffrono milioni di persone: un studio sta sviluppando nuove terapie antidolorifiche senza l'uso di narcotici
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Uno studio dato da una collaborazione tra Italia e Usa sta dando nuove e rosee prospettive per la lotta del dolore cronico.  Al centro del nuovo studio lo sviluppo di nuove terapie antidolorifiche – che non siano a base di narcotici – per combattere il dolore cronico di cui soffrono milioni di persone a causa di infortuni e malattie tra cui lesioni del midollo spinale, diabete, sclerosi multipla e cancro.

I farmacologi Livio Luongo e Serena Boccella, appartenenti al gruppo di ricerca di Sabatino Maione, ordinario di Farmacologia dell’Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, in collaborazione con i ricercatori dell’Università di St. Louis (Usa) coordinati da Daniela Salvemini, hanno identificato un nuovo protagonista nella fisiopatologia del dolore neuropatico. Nello studio, pubblicato sulla rivista “PNAS” e condotto negli Stati Uniti e presso la Vanvitelli, gli autori hanno dimostrato, sugli animali in questa prima fase, che un particolare recettore cellulare presente nel nostro organismo potrebbe essere il colpevole del dolore che limita drammaticamente la qualità della vita dei pazienti neuropatici.

Il dolore neuropatico può essere grave e non sempre risponde al trattamento – dice Salvemini – Antidolorifici oppioidi sono ampiamente utilizzati, ma possono causare importanti effetti collaterali e portare i rischi di dipendenza e abuso. C’è un urgente bisogno di opzioni migliori per i pazienti affetti da dolore cronico“.

Specificatamente, i ricercatori hanno capito che in risposta a una lesione del nervo il corpo genera una molecola chiamata sfingosina-1-fosfato (S1P) nel corno dorsale del midollo spinale. “Questa molecola a sua volta – spiega Luongo – può attivare il sottotipo recettoriale 1 (S1PR1) sulla superficie delle cellule di supporto specializzate del sistema nervoso chiamate astrociti. Questo innesca una cascata di eventi che portano a processi neuroinfiammatori e rendono i neuroni coinvolti con la trasmissione del dolore molto ‘attivi’. Questo sintomo associato al dolore neuropatico rende il paziente incapace di svolgere le comuni mansioni quotidiane. La riduzione di questo sintomo subdolo rende il paziente affetto da dolore neuropatico meno ansioso e meno depresso e più capace di affrontare la propria patologia“. Sebbene lo studio sia stato eseguito su animali da laboratorio, molecole che agiscono inibendo la stimolazione della proteina recettoriale S1PR1 sono già disponibili in commercio e sono ad oggi impiegate nel trattamento della sclerosi multipla. Di conseguenza, per gli autori la scoperta risulta di fondamentale importanza per il possibile futuro impiego di queste sostanze nel dolore cronico di tipo neuropatico.

Questi risultati, dunque, gettano le basi per sviluppare una nuova classe di farmaci che offra benefici antidolorifici senza i rischi e gli effetti collaterali degli oppioidi. “I risultati di questa ricerca, insomma – conclude Luongo – individuano in questo recettore un buon bersaglio, e dunque scenari possibili per lo sviluppo di nuove terapie, creando una nuova classe di antidolorifici non narcotici“.

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