Scoperti due nuovi batteri nell’intestino appartenenti al genere “Bifidobacterium”

I due batteri intestinali appartenenti al genere "Bifidobacterium" finora erano sfuggiti a ogni tentativo di isolamento svolto dalla microbiologia classica
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La scoperta di questi nuovi batteri intestinali alza l’asticella della comprensione di questi microrganismi, che finora erano sfuggiti ad ogni tentativo di isolamento svolto dalla microbiologia classica.

Lo studio è stato realizzato dall’Università di Parma e pubblicato su “Genome Biology” ha rivolto l’attenzione alla caratterizzazione delle comunità microbiche che vivono nell’intestino dei mammiferi e che sono finora rimaste sconosciute,ed è stato coordinato da Marco Ventura del Laboratorio di Probiogenomica dell’ateneo.
La ricerca ha permesso di identificare per la prima volta l’esistenza di due nuovi microrganismi, appartenenti al genere Bifidobacterium, nell’ecosistema intestinale di alcune specie di mammifero. Grazie all’impiego di un approccio di tipo omico basato sia sull’utilizzo di tecniche metagenomiche che di coltivazione su terreni selettivi, ha permesso di caratterizzare la biodiversità di quella larga parte della comunità microbica intestinale conosciuta come “non-coltivabile“. Ovvero quei microrganismi che finora sono sfuggiti ad ogni tentativo di isolamento svolto dalla microbiologia classica. Il lavoro è stato condotto dal Laboratorio di Probiogenomica, Dipartimento di Scienze chimiche, della vita e della Sostenibilità ambientale. A differenza dei lavori finora pubblicati, per lo più basati unicamente sull’impiego di approcci puramente bioinformatici questa ricerca – spiega una nota – ha permesso di scoprire nuove specie microbiche grazie alla disponibilità di sequenziatori di nuova generazione (MiSeq e NextSeq 500) presso lo spin-off accademico GenProbio s.r.l. diretto da Ventura.

Questo lavoro “rappresenta un primo importante passo verso la piena comprensione delle basi molecolari responsabili dell’interazione microrganismi-ospite, ma anche delle possibili implicazioni positive o negative sulla salute dell’ospite“, concludono i ricercatori.

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