Le mamme No Pfas: “Così abbiamo scoperto di contaminare i nostri figli allattandoli”

"I Pfas sono già arrivati al lago di Garda e nell'Adriatico. Vista la velocità di espansione finirà per coinvolgere almeno 800mila persone"
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La cosa più drammatica è stata scoprire che con la gravidanza e l’allattamento, noi stesse contaminavamo i nostri figli con i Pfas”. Michela Zamboni è una delle “Mamme no Pfas” che da quando hanno scoperto come il maggiore inquinamento della falda acquifera d’Europa ha cambiato la loro vita, si sono organizzate per ottenere giustizia e denunciare i ritardi e i silenzi delle istituzioni in Veneto.  Michela Zamboni ha raccontato la sua battaglia durante la conferenza stampa di presentazione della video-inchiesta “PFAS quando le mamme si incazzano” del giornalista Andrea Tomasi, che si è svolta questa mattina a Roma, presso la sede della rivista Il Salvagente.

L’inchiesta, si spiega in una nota, “indaga sulla contaminazione dovuta a sostanze perfluoroalchiliche usate come impermeabilizzanti per decenni dalla Miteni, un’azienda – ora chiusa – con sede a Trissino. L’inquinamento, diventato di dominio pubblico solo nel 2016, riguarda un’area compresa tra le province di Verona, Vicenza e Padova, abitata da 350mila persone. ”
Il nostro gruppo – spiega Zamboni – è nato da quattro mamme che nel 2017 hanno ritirato i risultati dei primi screening voluti dalla Regione, scoprendo che il loro figli adolescenti avevano alti livelli nel sangue di Pfoa e Pfos”, due sostanze identificate come cancerogeni e interferenti endocrini.

Secondo Andrea Tomasi, autore della video-inchiesta, “stiamo parlando di una falda grande quanto il lago di Garda, la seconda più grande d’Europa. I Pfas sono già arrivati al lago di Garda e nell’Adriatico. Vista la velocità di espansione finirà per coinvolgere almeno 800mila persone. Per non parlare per i rischi di contaminazione della filiera agroalimentare”. Tracce di queste sostanze nelle falde sono state trovate anche in  Lombardia, Piemonte e Toscana. Dopo le proteste, tra cui la petizione “Stop Pfas nel Veneto”, lanciata da Greenpeace, e l’apertura di un’inchiesta da parte della magistratura, sono stati messi i filtri agli acquedotti, ma non basta. “I filtri bloccano alcune molecole, non tutte – spiega Tomasi – E quindi tanti genitori non permettono ai figli di bere l’acqua dal rubinetto. Ci sono mamme che non mandano i figli a fare nuoto agonistico perché, come dicono alcuni studi del professore Carlo Foresta dell’università di Padova, chi è immerso nell’acqua è più esposto: problemi di tiroide, di colesterolo, di sterilità femminile, e possibili modifiche a livello genitale nei bambini”.

Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna inquinamento di Greenpeace dichiara: “Per proteggere adeguatamente l’ambiente e la salute di un territorio e di una popolazione già gravemente colpita, deve essere evitata l’emissione nell’ambiente di ogni singolo nanogrammo di qualsiasi tipo di Pfas. Proprio per questo, da tempo chiediamo alla Regione Veneto che, oltre al rapido avvio della bonifica del sito produttivo di Miteni, vengano individuati e censiti tutti gli scarichi inquinanti, favorendo una rapida riconversione industriale di tutti quei processi produttivi responsabili dell’inquinamento da Pfas. Alternative più sicure a queste sostanze esistono e sono già disponibili sul mercato”.

Come l’inchiesta che abbiamo presentato racconta – aggiunge Riccardo Quintili, direttore de Il Salvagente emerge un quadro in cui gli enti di controllo e le istituzioni locali sapevano della contaminazione ma non sono intervenuti da subito. Questo ci dimostra, ancora una volta, che la voce dei cittadini che si organizzano per protestare e dei giornalisti che denunciano, può essere determinante per la sicurezza e la salute di centinaia di migliaia di persone”.

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