Misurata per la prima volta l’intensità del flusso dei raggi grazie al cacciatore di materia oscura Dampe

"Questa osservazione fornisce preziose informazioni sull'origine dei raggi cosmici e sui loro processi di accelerazione e propagazione nella nostra galassia"
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È stata misurata per la prima volta l’intensità del flusso dei protoni cosmici, ovvero le particelle cariche che costituiscono la componente principale dei raggi cosmici che bombardano continuamente il nostro pianeta. Il risultato è cruciale per capire la loro origine e i meccanismi di accelerazione e propagazione delle loro particelle. La misurazione è stata possibile grazie al cacciatore di materia oscura Dampe (Dark Matter Particle Explorer), l’esperimento lanciato in orbita nel 2015 dall’Agenzia spaziale cinese e frutto di una collaborazione internazionale tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), l’Accademia cinese delle scienze, le Università di Perugia, Bari e del Salento, e l’Università di Ginevra.

I risultati dello studio, pubblicati su Science Advances, rappresentano la prima misura diretta del flusso di protoni cosmici fino a energie elevatissime, dell’ordine di 100 TeV (pari a circa 100.000 volte l’energia corrispondente alla massa a riposo di un protone): fino ad oggi nessun apparato aveva mai misurato direttamente l’intensità del loro flusso con tale accuratezza a energie così’ elevate. In particolare, Dampe ha rilevato un comportamento inatteso: il flusso dei protoni, che diminuisce continuamente con l’aumentare delle energie, a circa 10 TeV presenta un’attenuazione molto più marcata del previsto. “Questa osservazione fornisce preziose informazioni sull’origine dei raggi cosmici e sui loro processi di accelerazione e propagazione nella nostra galassia“, spiega Piergiorgio Fusco dell’Università della sezione Infn di Bari. “Tali meccanismi – aggiunge Ivan De Mitri, del Gran Sasso Science Institute e dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn – riescono ad accelerare particelle cariche sino ad energie molto maggiori di quelle raggiunte dai più potenti acceleratori costruiti dall’uomo, ma sono ancora poco noti e sono attualmente studiati con apparati nello spazio, al suolo, sotto il ghiaccio del Polo Sud e nelle profondità marine”.

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