Il virologo Roberto Burioni e il microbiologo del San Raffaele Nicasio Mancini fanno il punto su Medicalfacts, il sito di informazione scientifica e debunking delle fake news, sul coronavirus cinese che sta tenendo il mondo in allerta. Analizzando gli ultimi studi scientifici, i due esperti spiegano quali sono le informazioni raccolte finora sulle caratteristiche del nuovo virus dal punto di vista molecolare e sui meccanismi con cui agisce sulle cellule dell’organismo. In questo contesto, è indispensabile far comprende quanto sta accadendo anche ai non addetti ai lavoro e i due esperti e lo fanno chiarendo tre punti.
Per quanto riguarda l’origine del nuovo coronavirus, Burioni e Mancini spiegano: “I dati a disposizione sono dati indiretti, che derivano dallo studio del codice genetico dei virus finora isolati dai pazienti”, e “studiando la composizione del genoma del nuovo coronavirus, si è subito notato come esso sia molto ma molto simile (‘uguale’ al 96%) ad altri coronavirus già studiati in alcune specie di pipistrelli presenti in Cina“, anche se “non è ancora chiaro se e quale altro animale, con cui l’uomo ha più a che fare, possa avere trasmesso questo coronavirus agli esseri umani“. Nelle ultime settimane – ricordano gli esperti – alcuni studi hanno ipotizzato serpenti e pangolini (curiosi animali “corazzati” la cui carne pare sia usata in Cina a scopo alimentare) come possibili “ospiti intermedi”, “ma gli studi che hanno proposto queste ipotesi sono sempre indiretti e, soprattutto, gravati da grosse limitazioni dal punto di vista metodologico“. Sintetizzando, affermano: “Siamo praticamente certi che, come atteso, l’animale di origine del nuovo coronavirus è il pipistrello, ma brancoliamo ancora nel buio per quel che riguarda l’esistenza e la natura dell’animale che l’ha direttamente trasmesso all’uomo”.
Per quanto riguarda il modo in cui il virus infetta le cellule umane, i due esperti spiegano che gran parte delle risposte a questa domanda deriveranno dagli studi resi possibili dall’isolamento del virus, ricordando che grazie ai lavoro dei medici e ricercatori dell’Istituto Spallanzani che lo hanno isolato, è disponibile un “italiano”, quindi questo tipo di studi è possibile anche nel nostro Paese. Alcuni punti importanti sono stati comunque già evidenziati: “A partire da come, probabilmente, il virus entra nelle cellule del nostro organismo. Nella prima fase di un’infezione, ogni virus deve infatti ‘ingannare’ la cellula da infettare forzandone una ‘serratura’. Studiando le caratteristiche della proteina del nuovo coronavirus che funge da ‘chiave’ si è capito, con ragionevole certezza, che essa è in grado di aprire una serratura in particolare: questa serratura è rappresentata da un’altra proteina presente sulle nostre cellule, chiamata recettore Ace2. Guarda caso lo stesso recettore riconosciuto dal virus della Sars”. “Non sappiamo quanto bene il nuovo coronavirus sia in grado di legare questo recettore e se, eventualmente, possa usarne degli altri, ma in ogni caso, c’è un elemento che deriva direttamente da queste osservazioni: il nome che è stato dato al virus. Sars-CoV-2 è proprio la conferma dell’estrema vicinanza del nuovo coronavirus al ‘fratello maggiore’ che ha spaventato il mondo nel 2002-2003. Attenzione, però: i due virus sono simili, ma nient’affatto gemelli”. Quindi “Impariamo dalle epidemie passate ma non abbassiamo la guardia dicendo che l’esito di quella in corso sarà identico. Anzi, i numeri attuali dicono già che non è così”.
Sul modo in cui il virus distrugge le cellule umane, Burioni e Mancini affermano: “La cosa principale che sta emergendo dalla descrizione dei primi studi condotti grazie all’isolamento del nuovo coronavirus è che esso non sembra particolarmente in grado di danneggiare direttamente le nostre cellule“, ribadendo che “il nuovo coronavirus non sembra, quindi, avere un forte ‘effetto citopatico’. Il danno alle celle del nostro organismo, e in particolar modo a quelle polmonari, sembra essere dovuto, quindi, alla fortissima risposta infiammatoria che Sars-CoV-2 è in grado di stimolare. A questo riguardo, non siamo ancora in possesso di conferme di laboratorio ma alcune caratteristiche cliniche finora descritte (ad esempio, la minore incidenza di forme gravi nei bambini o nelle donne incinte) sembrerebbero confermare tale ipotesi”. “Qualche passo in avanti è stato fatto in queste settimane nella comprensione delle caratteristiche molecolari del nuovo virus“, dicono i due esperti, avvertendo però che da un lato “molto ancora deve essere fatto e solo questo renderà più facile la messa a punto di strategie terapeutiche e vaccinali efficaci”. Dall’altro ancora una volta la parola d’ordine è sempre la stessa: contenimento. In questo momento – concludono il virologo Roberto Burioni e il microbiologo Nicasio Mancini – la partita dobbiamo giocarcela con i mezzi a disposizione: contenimento dell’epidemia tramite il riconoscimento precoce e l’isolamento di chi è infetto“.