Coronavirus, il “paziente 0”? E se tutto fosse partito dalla moglie incinta del 38enne di Codogno?

Potrebbe non essere il marito il paziente 1, ma proprio lei, la donna incinta all'ottavo mese. Si tratta solo di un'ipotesi, ovviamente, ma plausibile
MeteoWeb

Il paziente 0 non si trova e questo ha portato ad ipotizzare che il Coronavirus possa essere arrivato al 38enne di Codogno (paziente 1) da un ospedale. Ma come? Riflettendoci e analizzando la situazione che è stata delineata, balza all’occhio il fatto che anche la moglie, incinta all’ottavo mese di gravidanza, si è ammalata. Ora fortunatamente lei e il bambino stanno bene, ma nei giorni scorsi si è temuto il peggio. Il nodo potrebbe essere snodato proprio qui: la gravidanza comporta numerose visite presso studi medici e ospedali, dunque lei, più del marito, avrebbe avuto possibilità di contrarre il Coronavirus. Basti pensare, ad esempio, al fatto che tra gli infetti ci sono numerosi sanitari.

Potrebbe dunque non essere il marito il paziente 1, ma proprio lei, la donna incinta all’ottavo mese. Si tratta solo di un’ipotesi, ovviamente, ma plausibile visto che ci sono tutti gli elementi e visto che gli ospedali sono stati indicati come il luogo più ‘papabile’ in cui sia potuto scoppiare il focolaio di Coronavirus. Risalire al paziente 0, in ogni caso, sembra comunque impossibile e potrebbe risultare anche inutile visto che sono già nati altri focolai, ma andare a ritroso per tracciarne i movimenti potrebbe comunque essere un buon modo per tentare di circoscrivere le infezioni.

Intanto la buona notizia è che la moglie del paziente 1 di Codogno, che si trova ricoverata al Sacco di Milano, “sta bene, ha fatto l’ecografia e la gravidanza procede bene. E’ quanto riferito da uno dei dirigenti del gruppo podistico dove corrono la donna e il marito, ancora ricoverato a Pavia. La moglie del paziente 1 “è positiva al coronavirus ma asintomatica. La piccola sta bene e la gravidanza arriverà a termine. Purtroppo non riesce ad avere notizie sullo stato di salute del marito. Ho saputo da amici che lavorano all’ospedale di Codogno che suo marito era stato trasferito nella notte all’ospedale di Pavia e l’ho scritto nella nostra chat e lei l’ha saputo da noi e si è stupita, perché pensava che sarebbe stato trasferito al Sacco“.

Sono risultati positivi al test coi tamponi anche sei compagni di squadra del paziente 1, che sono stati a contatto con lui in particolare sabato 15 febbraio, quando era sceso in campo con la sua squadra. Gli sportivi hanno contratto il virus ma “non hanno sintomi e verranno curati da casa“, come fa sapere la società.

RITARDI NELLE VISITE AL PAZIENTE 1

Foto di Emanuele Cremaschi / Getty Images

Il paziente 1, Mattia, è entrato in Pronto Soccorso, per la seconda volta, alle 3.12 di notte del 19 febbraio. Il premier Giuseppe Conte ha parlato di ritardi nel nosocomio lombardo: ben trentasei ore, ovvero il tempo trascorso tra il ritorno di Mattia in Pronto soccorso, dov’era già stato il giorno prima, e il tampone per il coronavirus. Il test viene eseguito alle 16 del 20 febbraio e in attesa degli esiti il 38enne trascorre un giorno e mezzo nel reparto di medicina. Intanto vanno a trovarlo parenti e amici, oltre ad entrare in contatto con medici, infermieri e altri pazienti.  Dunque Mattia resta per 36 ore in ospedale infetto senza che nessuno lo sappia. La conferma che si tratta di coronavirus arriva alle 21 del 20 febbraio, ma l’allerta rossa per i sanitari scatta quasi a mezzanotte.

Solo la mattina viene completamente svuotato il Pronto soccorso e le porte dell’ospedale, chiuso già da mezzanotte, vengono rese inaccessibili: nessuno può entrare o uscire. Tutt’ora ci sono ancora sanitari del nosocomio che attendono l’esito del tampone effettuato. Un uomo non identificato e presente quella sera spiega ad un amico su WhatsApp «è sbagliato dire che quella notte è andato tutto bene perché non è la verità. Ma era un’emergenza mai vista e non vale accusare con il senno del poi. Diciamoci soltanto la verità, e cioè che forse la gestione di quella notte poteva andare meglio, ma diciamo anche che non era facile e che tutti hanno lavorato senza risparmiarsi. E cerchiamo di imparare dagli errori».

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