I rifiuti pericolosi dell’Ilva sversati in un fiume calabrese: ecco perchè il super Colonnello Ultimo è l’uomo giusto per combattere i reati ambientali in Calabria

Alta incidenza di tumori, odori nauseabondi, schiuma torbida nel Mucone, in Calabria: ecco come si distrugge un terrirtorio
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In Calabria c’è chi si stupisce della nomina del colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, noto come “Capitano Ultimo“, come assessore regionale all’Ambiente, nella Giunta presieduta da Jole Santelli. In realtà ci si dovrebbe stupire di tutto questo stupore: chi meglio di lui può ricoprire quel ruolo quanto mai delicato per la regione? Il motivo è presto detto: parlando di ambiente in Calabria non si può non parlare anche – e dunque conoscere – di ‘ndrangheta. Le ecomafie sono il business più moderno della criminalità organizzata e non serve un esperto per comprenderlo. Dunque perché De Caprio? Il Capitano Ultimo non è ‘solo’ colui che ha fatto scattare le manette ai polsi di Totò Riina, ma ha anche lavorato a lungo nel Noe, il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri. Mafia e ambiente, dunque, che ritornano come un binomio che sa di cattivo presagio.

Il mio obiettivo è tutelare l’autodeterminazione delle comunità calabresi senza l’interferenza delle mafie di ogni tipo“, ha dichiarato De Caprio nel corso di una conferenza stampa. E che abbia il volto coperto è solo un punto a suo favore in questa lotta: hanno paura di lui e la sua ricerca di sicurezza è del tutto legittima. Ma tornando al nostro quesito, perché dovrebbe esserci bisogno di un colonnello come assessore all’ambiente in Calabria? Gli esempi da fare potrebbero essere tanti ma ci limitiamo ad uno, il più recente, grave quanto pericoloso. E’ stato da poco sequestrato l’impianto di trattamento rifiuti liquidi speciali e il depuratore del comune di Bisignano, in provincia di Cosenza. Il reato contestato è di inquinamento ambientale, per il quale sono stati apposti i sigilli al sito di proprietà della Consuleco srl, società affidataria della gestione dell’impianto comunale. Cosa facevano? Semplice quanto drammatico: chiedevano ai propri dipendenti, ora anch’essi indagati, di sversare nel fiume Mucone grossi quantitativi di rifiuti speciali pericolosi, senza alcun trattamento preventivo. I rifiuti provenivano da diversi stabilimenti d’Italia, tra cui anche l’Ilva di Taranto.

L’operazione denominata Arsenico ha scoperchiato un vaso di Pandora che in realtà è un po’ come la scoperta dell’America: i cittadini residenti in zona lamentavano e denunciavano da tempo la presenza di odori nauseabondi provenienti dallo stabilimento e dal Mucone. Ma non solo: l’incidenza di patologie tumorali nella zona, anche tra i giovani, faceva discutere da tempo e il sentore, anzi la puzza, che qualcosa di poco lecito ci fosse sotto era diffuso. Dai campioni esaminati da Arpacal sono emersi livelli altissimi di elementi inquinanti, con concentrazioni che superano anche 40mila volte il limite di legge. L’aspetto del fiume non lasciava comunque dubbi: schiuma torbida e scura, odori nauseabondi e urticanti.

Il ‘Capitano Ultimo”, il colonnello De Caprio, è la persona giusta al posto giusto. E’ lo ‘sbirro’ che ci vuole per provare a frenare un fenomeno in continua crescita: quello dei criminali dal colletto bianco, senza scrupoli, che uccidono un intero ecosistema e, con molta probabilità, anche numerose persone.

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