In questo periodo di emergenza a causa dell’epidemia di coronavirus, gli operatori sanitari sono in prima linea per curare e salvare i pazienti che contraggono la malattia tra turni massacranti e una grande pressione. Gli ospedali della Lombardia sono stati quelli più in difficoltà con l’elevato numero di pazienti che ha richiesto e continua a richiedere assistenza sanitaria. Monica Falocchi è la capoinfermiera del reparto di terapia intensiva degli Spedali Civili di Brescia, tra i volti immortalati dal New York Times Magazine per raccontare le storie di chi, negli ospedali di Bergamo, Brescia e Milano, è impegnato nella lotta contro Covid-19. La foto ritrae Monica con gli occhi spalancati, i capelli nascosti dalla cuffietta verde e l’inconfondibile segno sul naso della mascherina.
“Mi sento solo una goccia nel mare, perché tutti hanno messo veramente molto, energia fisica e mentale e fatto rinunce. Io sono solo la rappresentante di una categoria che ha dato molto in questo periodo. Non so perché tra le tante foto che il giornalista del Nyt ha scattato – spiega all’Adnkronos Falocchi – poi abbia scelto proprio la mia. Il giornalista si era fermato a parlare con il direttore di unità operativa, eravamo veramente presi dal lavoro in quel momento – racconta Falocchi -. Mi ha chiesto se lo potevo raggiungere nello studio perché stavano finendo di scattare. Mi sono detta ‘va bene, facciamo qualche fotografia’ senza neanche riflettere sul valore della rivista, avevo altri pensieri per la testa. Abbiamo scattato e poi ho ripreso il lavoro in reparto”.
Falocchi, nata 48 anni fa a Breno, piccolo Comune della Val Camonica, racconta come l’epidemia ha cambiato la sua vita personale e lavorativa: “Sono giorni in cui si lavora molto, per quanto oggi la situazione sia sicuramente molto più controllata – ammette – ma l’adrenalina inizia a venir meno e la stanchezza si fa sentire“. In queste settimane d’emergenza, Monica non è mai riuscita a vedere la sua famiglia: “Ho una mamma che adoro, tre sorelle, 5 nipoti ed Etna, la mia cagnolina e non le vedo da metà febbraio – spiega -. Non potendo portare Etna a passeggio e stando in ospedale oltre 12 ore al giorno l’ho affidata a un’amica carissima che tutte le sere mi manda dei video. Mi manca la mia vita, come credo manchi a tutti – confessa -. Certo, sentirsi utili e di supporto alla collettività è gratificante, io sento sempre questa fatica ma poi quando vedo le persone che escono dalla rianimazione salutarmi sul lettino con la mano è una soddisfazione che mi riempie il cuore“.
Monica fa questo mestiere da circa 30 anni e dal 2006 è capoinfermiera del reparto di terapia intensiva, dove per comunicare, più che le parole, si usano gli occhi: “Conservo tanti flash, tante immagini, tanti sguardi incrociati, sia tra i pazienti, sia tra il personale perché con gli occhi si dicono tante cose – afferma -. E in questo momento potevamo parlare solo con lo sguardo. Ho vissuto tanti bei momenti perché di pazienti guariti ne abbiamo visti diversi”. Poi si emoziona quando racconta di alcuni familiari che salutavano i loro cari in videochiamata: “Non dimenticherò mai gli sguardi attraverso i tablet – spiega – tutti avrebbero meritato di essere memorizzati. E’ stata un’onda travolgente”.
Ma come ogni bresciano che si rispetti, Monica non ha mai pensato di mollare la presa: “Mai – rimarca – noi bresciani siamo tosti, non ho mai pensato ‘non ce la faremo’, ho sempre creduto molto nel mio staff, sia infermieristico sia nei medici. Tutti insieme abbiamo raggiunto un buon risultato. Noi siamo dei professionisti al servizio della collettività – puntualizza -. Facciamo questo lavoro sempre, tutti i giorni, inclusi festivi e notturni, tutti gli anni. Sono felice che ora ci sia visibilità su di noi perché di diverso ora c’è solo che abbiamo curato molte più persone in poco tempo. L’abnegazione della categoria infermieristica va valorizzata. Mi auguro che resti memoria di tutto questo perché lo meritiamo”.”
“Amo viaggiare, con la mia cagnolina giriamo in lungo e in largo l’Italia, mi piace visitare questo Paese meraviglio. Il camper è la mia passione, lo guardo e so che partiremo ancora“, dice Monica del suo camper parcheggiato fuori casa.