Coronavirus, l’appello degli infermieri: “Non siamo cavie, no ai test di verifica dell’immunità”

"Oltre al danno, ora anche la beffa. Dopo il ritardo, anche di un mese, nell'effettuare i tamponi al personale sanitario, sta per arrivare una nuova tegola sulla testa degli operatori"
MeteoWeb

“Oltre al danno, ora anche la beffa. Dopo il ritardo, anche di un mese, nell’effettuare i tamponi al personale sanitario, sta per arrivare una nuova tegola sulla testa degli operatori: test sierologici in via prioritaria per verificare eventuali immunità dal coronavirus. Siamo di fronte a una situazione surreale e inaccettabile”. La denuncia arriva dal segretario nazionale del Nursind Andrea Bottega che, a tal proposito, ha inviato una missiva per chiedere e ottenere chiarimenti al presidente del Consiglio, alla Conferenza delle Regioni e al Garante della privacy.

Il sindacato promette battaglia e attacca: “Se l’intenzione è quella di testare il personale non con lo scopo di stabilirne l’eventuale positività e, quindi, i rischi per loro e i pazienti con cui entrano in contatto, ma soltanto per reclutare unità da inserire nei reparti Covid, senza protezioni, è chiaro che siamo ormai allo sbaraglio“, denuncia.

“L’assenza di dispositivi di protezione individuale – si legge in una nota -non può essere risolta con soluzioni improvvisate e rendendo gli infermieri vere e proprie cavie da laboratorio. Se si considera che le attuali norme non prevedono la quarantena per il personale sanitario, ma solo l’isolamento in caso di accertata positività, è ancora più evidente che questa ultima trovata sarebbe solo ulteriore sale sulle ferite”.

“La ‘schedatura’ in base alla supposta ‘immunizzazione’ – rincara Bottega – ha il vago sapore di un metodo di selezione dei lavoratori contrario ai basilari principi etici di ogni società civile. Governo e Istituto superiore di sanità chiariscano la ratio di tali test: hanno finalità puramente scientifiche? E se sì, quale comitato etico eventualmente li avrebbe autorizzati?”.

Ma il Nursind tira in ballo anche il Garante della privacy. “C’è un problema di trasparenza: non è secondario conoscere chi sia titolato a trattare i dati di questi test e se essi richiedano o meno il consenso informato. C’è un diritto superiore a quello positivo – conclude il segretario nazionale del Nursind – ed è quello naturale alla tutela della propria e dell’altrui vita. La misura è colma: gli infermieri non ci stanno”, ammonisce. “Basta accessi ai reparti Covid senza i necessari dispositivi di protezione, altrimenti saranno inevitabili forme di disobbedienza civile“, conclude Bottega.

Condividi