Nell’Italia che ha svenduto ogni briciolo di libertà personale non di fronte alla sicurezza sanitaria, ma soltanto a fronte della psicosi di Stato, assistiamo a una quotidiana becera caccia all’untore: ci siamo ridotti che non si può uscire di casa, non tanto per le norme dello Stato che pure prevedono tante eccezioni al consiglio di rimanere dentro la propria abitazione (lavoro, salute, approvvigionamento alimentare e varie necessità, compresi i bisogni degli animali domestici o l’attività motoria, quindi passeggiate, sgambate in bici etc.), ma quanto per l’odio e l’invidia di tanta gente che non ha nulla di meglio da fare se non rimanere tutto il giorno appostata dietro la finestra per apostrofare come criminale chiunque passi, addirittura chiamando la polizia per segnalarlo e molto spesso poi scoprire che era un medico, un infermiere, un tecnico ospedaliero, uno stesso agente delle forze dell’ordine, un volontario della protezione civile o della croce rossa, un giornalista, un farmacista, un fattorino che consegna la spesa a domicilio o un addetto di un supermercato, che stava andando a lavorare in trincea per fronteggiare l’emergenza mentre tanti dipendenti pubblici con lo stipendio assicurato passano le giornate a inviarsi vignette ebeti su whatsapp.
E’ l’Italia peggiore, quella dell’odio sociale, che sfoga la propria rabbia nell’inferno dei social network dove assistiamo al tripudio dell’anti-scienza. E se negli ultimi due giorni abbiamo avuto un lieve aumento di contagiati, facilmente spiegabile con un vero e proprio boom di tamponi effettuati (100.000 nelle ultime 48 ore) mentre la curva epidemica continua a diminuire in modo lento e graduale così com’è ovvio in un andamento epidemico, i tuttologi del web sono certi: “eh certo, c’è così tanta gente in giro che si contagiano tutti e non ne usciremo più“.
Eppure non c’è alcun caso di contagio accertato tra chi esce di casa. Intendiamo tra coloro che vanno a fare la spesa, si recano in farmacia, portano il cane ad espletare i propri bisogni fisiologici dato che non sono riusciti a insegnargli l’utilizzo di wc e bidet, o magari scendono a sgranchirsi le gambe nell’isolato sotto casa perchè non hanno la fortuna di vivere in una villa extralusso con cinquemila metri di giardino intorno. Nessuno, tra loro, è tra gli oltre 140 mila positivi rilevati dal sistema sanitario nazionale.
I nuovi casi di contagio che si continuano a rilevare in questi giorni, invece, sono quasi tutti intrafamiliari: gli esperti del Comitato tecnico-scientifico a cui si è affidato il Governo lo stanno ribadendo ogni giorno. La gente è chiusa in casa, sta limitando gli spostamenti e mantenendo le distanze sociali. Ma non è che dentro casa si è immuni al contagio: un marito positivo può contagiare la moglie, una mamma può contagiare i figli, un bambino i genitori e i nonni. E basta una famiglia numerosa in un appartamento da 70mq ed ecco un nuovo focolaio. Uno starnuto sul balcone e tutto il condominio è positivo. Senza uscire di casa.
Ma il vero dramma è quello di Ospedali e RSA: il record di positivi delle ultime due settimane non arriva dalla popolazione comune, ma è quasi esclusivamente ristretto agli operatori sanitari, a pazienti e ai lavoratori delle Residenza sanitaria assistenziale. Il contagio sta continuando per le inefficienze di una sanità pubblica che non ha nulla a che vedere con l’eccellenza mondiale del Cotugno di Napoli, come ha spiegato il miglior studio scientifico fin qui pubblicato sulle cause dell’altissima letalità del Coronavirus dell’Italia rispetto al resto del mondo.
“No, ma veramente pensate che la situazione stia migliorando meno rapidamente del previsto per quella (poca, ammetterete) gente in più che vedete (o vi fanno vedere) per strada? Non del fatto che dopo due mesi ancora nessuno sa chi fa che cosa, e meno che meno i cittadini, colpevolizzati per tutto, quando sono le prime vittime, travolti di parole, invece che informati, abbandonati a se stessi, con i medici disarmati che lottano a mani nude? Pensate VERAMENTE che se i casi non calano la colpa è della persona che esce una volta in più a fare la spesa o fa un giro intorno al palazzo perché non ce la fa più, e non per i pazienti positivi che infettano i parenti, gli ospedali che ancora sono luogo di contagio, le persone che sanno di aver avuto la malattia, ma non hanno avuto il tampone, e non hanno idea di quando possono riprendere una vita normale? Dei loro familiari, abbandonati a se stessi? Non si può pensare alla “fase 2” senza capire e risolvere i problemi della fase 1, che in misura si spera minore ci porteremo avanti per anni. Capitemi bene, per anni. Vogliamo continuare a scannarci tra di noi per anni, senza riconoscere le legittime e umane esigenze di ognuno? Non riconoscete la stessa strategia della crisi dei vaccini, dell’epidemia di morbillo, quando 4 antivax in croce sono diventati il capro espiatorio di tutte le mancanze, i tagli, le carenze imposte dall’alto alla medicina preventiva sul territorio? Le stesse parole d’ordine: addosso a chi non segue le regole. Se poi le cause più profonde dei problemi sono altrove, non importa“. Il brillante intervento di Roberta Villa, nota scrittrice e giornalista scientifica laureata in medicina e chirurgia
Un altro autorevole esperto del calibro di Riccardo Manzotti, psicologo e ingegnere, scrittore di successo professore di filosofia teoretica alla IULM di Milano, ha spiegato come “la campagna del governo #iostoacasa sarà ricordata come un esempio da scuola di come in pochissimo tempo, ignoranza e paura possono cancellare il patto di mutua ragione tra cittadino e istituzioni. Di fronte alla minaccia del virus e il rischio del collasso del sistema sanitario, il governo ha proceduto, a partire dal 21 Marzo a una campagna di quarantena basata sull’hashtag #iostoacasa convincendo milioni di italiani che stare il più a lungo possibile nel chiuso delle loro abitazioni è l’unica strada possibile per fermare la avanzata del virus. Questo è ovviamente falso. Altri hastag, molto più precisi e dettagliati, come #iostoatremetri o #iostodasolo, sarebbero stati molto più onesti e, nella misura in cui sarebbero stati più sostenibili, sarebbero stati anche molto più efficaci. Purtroppo, il governo ha invece scelto di fondare la sua campagna su un diktat approssimativo e dannoso“. Infatti nessun Paese ha scelto un lockdown così pesante e totale. Addirittura nelle vicine Svizzera, Austria e Germania non hanno chiuso nulla, neanche i parchi pubblici. E in Australia e Corea del Sud sono aperte persino le scuole. In tutti questi Paesi, si muore meno che in Italia a dimostrazione che la strategia migliore non è barricare la gente in casa, ma bisogna semplicemente limitare i contatti sociali. Anche perchè una vita all’aria aperta è molto più sana nella stessa lotta al Coronavirus, e dentro casa ci sono soltanto più alte probabilità di contagio quantomeno intrafamiliare.
“È ovvio a chiunque voglia esercitare un po’ di buon senso come stare al chiuso con la famiglia non è sostenibile e richieda per lo meno l’accesso a supermercati e altri servizi essenziali. Di per sé rendendo vana la pretesa di una applicazione del diktat. Ma è altrettanto evidente che non si tratti nemmeno di una misura necessaria, perché basterebbe stare a distanza e seguire le norme previste dalla OMS (mascherine, lavaggio mani, etc)“, prosegue Manzotti. “Tuttavia, la richiesta ai cittadini di compiere un SACRIFICIO è stata ideologicamente efficace, soprattutto in un paese con le nostre radici storico-culturali. Stare a casa è diventato subito un gesto scaramantico, che si fa per motivi tra la superstizione e l’appartenenza alla comunità. Nessuno si interroga sui meccanismi di trasmissione del virus. Sono demandati agli esperti, come in passato era demandato ai preti di interpretare le sacre scritture e agli intellettuali di sinistra di fare l’analisi del momento storico. La popolazione è contenta di affidare ad altri, esperti o autorità che siano, il proprio destino contando nel principio antico che è più importante appartenere a una comunità, sia un gregge di pecore o una torma di Lemming. Ai virologi non vengono chiesti lumi circa i meccanismi di trasmissione del virus, ovvero un trasferimento di conoscenza che richiederebbe, da parte delle persone, un atteggiamento di comprensione critico-scientifica del problema, ma regole e direttive da applicare in modo fedele salvo eccezioni (“padre ho tanto peccato, mi dia l’assoluzione”). La minaccia del virus, da problema concreto da affrontare con gli strumenti della ragione, è stata trasformata nella espressione delle colpe morali di una parte dei cittadini e ha legittimato molti altri nella presunta affermazione della propria superiorità morale. Atteggiamento paternalistico e moralistico in tutto e per tutto simile alla genuflessione superstiziosa di molte religioni. Non si salveranno dal virus i più accorti che faranno uso della propria intelligenza, ma i più giusti che sapranno sacrificarsi e, insieme agli altri giusti come lor pari (o appena meno), meritarsi un posto sull’arca galleggiante. O questo la gente crede“.
“Soltanto questa deriva salvifico-moralista può spiegare l’acredine e l’astio moralistico (l’onda di m…a con cui si sono affrontate le posizioni non allineate). Il dissenso è stato immediatamente associato con la indegnità morale del difensore. Chi sosteneva l’importanza dell’attività fisica è stato immediatamente deriso (la “corsetta”, “andare a spasso”) o associato a tratti moralmente inferiori (narciso, egoista, individualista, persona priva di rispetto), mentre l’abuso di carboidrati, tabacco e alcool che pure ha accompagnato la clausura domestica viene visto con indulgenza (tabacco) e generalmente con vera e propria simpatia (alcool e cibo). È ovviamente irrazionale pensare che chi corre manchi di rispetto mentre chi sforna torte e pizze sia un monaco penitente, ma è coerente con la cornice ideologica dove il virus deve essere sconfitto dal sacrificio e dalla sottomissione alla autorità e non dall’intelligenza e dalla tenacia. Non si deve correre, andare al mare, passeggiare in montagna, non perché sia un’attività oggettivamente correlata con il virus, ma perché siamo indegni, incapaci di fiducia. Siamo cioè peccaminosi e dobbiamo mondarci dei nostri peccati, soffrendo tutti insieme. Magari spiando dalle tapparelle chi non si sottopone agli stessi riti. La giustificazione del divieto di stare all’aperto da soli è analoga a quella che viene data, in nazioni dove i costumi impongono la repressione sessuale, perché le donne si debbano coprire il corpo e il viso: perché se lo facessero tutte, i maschi non sarebbero tentati dal fare violenza. E quindi, poiché gli esseri umani sono indegni di fiducia, anche chi non ha colpa (le donne) devono vivere segregati. Non a caso, in questi paesi, casa e vestiti hanno un ruolo simile a quello della casa in questi giorni di quarantena, spazio privato sottratto al presunto pericolo esterno (che invece è solo interno). In questa atmosfera irrazionale, resa possibile dalla tradizionale mancanza di cultura scientifica, l’applicazione del diktat diventa un articolo di credo, spesso imposto più dai fedeli (i solerti sceriffi da balconi) che dalle stesse autorità (vigili e polizia). Si chiudono parchi e aree balneari, si inviano i droni per individuare pericolosi camminatori solitari, si inviano elicotteri per stanare bagnanti e subacquei (non è una esagerazione). A nulla vale il fatto che, a detta della OMS, il virus non sopravvive all’aperto sotto l’effetto dei raggi del sole e che, anzi, basterebbe l’aria aperta per disperdere la carica virale sotto ogni soglia di pericolo. Contro ogni ragione, l’ambiente esterno è associato con la libertà di pensiero e di movimento in cui i cittadini impauriti da una propaganda martellante dei media non possono che credere. Come ha recentemente scritto Recalcati, “l’odio è non sopportare la libertà dell’altro”. Come nel romanzo di Orwell le persone sono isolate le une dalle altre e soggette a una continua imposizione di notizie da parte di schermi installati nelle loro abitazioni. A differenza della distopia, nel nostro caso gli schermi sono pagati direttamente da noi“.
“Il runner solitario – spiega in modo lucido Manzotti – non mette a rischio la salute fisica dei cittadini, ma mette in discussione il valore salvifico della loro presunta moralità: “se io sto in casa a soffrire, perché non lo fa anche lui”? E così si deve stare in casa non per evitare il virus, ma per non mettere in discussione l’autorità del governo cui la società ha demandato la propria libertà. Perché il sacrificio della libertà di tutti sia efficace, deve essere condiviso – non si deve parlare in chiesa o mettere in discussione le parole del sacerdote (in questo caso l’esperto scelto dal governo), è un mancare di rispetto. Così si rivela il lato oscuro della irrazionalità: paura e ignoranza. È un meccanismo raccontato da tantissimi, da Chomsky a Benasayag, da Canetti a Foucalt, da Hobbes a Machiavelli. Non c’è bisogno di citarli. L’ignoranza gonfia la paura che cerca nel sacrificio della libertà e nella sottomissione all’autorità una salvezza che viene applicata con la stupidità irrazionale propria della superstizione. L’aspetto peggiore si è manifestato in tutte quelle forme di intolleranza e di miseria umana che trovano amplificazione nel razzismo da balcone. Si spiano le persone perché gli altri non sono più percepiti in quanto esseri umani, ma come un potenziale pericolo. L’applicazione rigida della legge diventa il pretesto per sfogare invidie, rivalità, complessi di inferiorità, asti campanilistici. Felice Cimatti, in una recente intervista ha affermato “ci sono le ragioni della medicina, ma non ci sono solo le ragioni della medicina. […] Sostenere che non è tempo per discutere di filosofia e di libertà individuali, che ora è il tempo dell’emergenza, è esattamente il tipo di risposta che non promette nulla di buono.” Quando la libertà individuale è sospettata di egoismo, quando si avalla il principio etico-politico che la sola vera libertà è quella che esprime il bene universale (che poi non è mai universale, ma di qualche particolare che ha la forza per proporsi e, invero, imporsi, come universale), la persona è in pericolo, perché la persona è la sua libertà individuale, insindacabile, ingiudicabile, indominabile”.
“Certo, ogni società può proporre le sue regole di ingaggio, diciamo così, ma senza pretendere che il proprio bene (quello della società in gioco) diventi il bene universale o debba corrispondere al bene di ciascuno. La paura del virus ha spinto molti a rinunciare ai propri diritti individuali. La salvezza del corpo in cambio dell’anima – per tanti che come gli zombie di Romero (altra epidemia, altra allegoria) quell’anima non l’hanno in fondo mai avuta – è un baratto ragionevole. Accettare il diktat dello stare a casa senza ragione non è solo un rischio sanitario (il danno che tanti avranno da questa inutile clausura domestica) ma soprattutto il fallimento del patto di ragione tra stato e cittadino. Allo stato non si chiede di spiegare le motivazioni razionali delle regole. Ai cittadini non si chiede di comportarsi responsabilmente. Ognuno viene meno ai suoi obblighi e ci si tratta con l’indulgenza tipica di persone immature. Il patto non è più basato sulla ragione e sul rispetto reciproco tra persona e istituzione, ma sull’interesse e la paura. E la superstizione ne è il naturale collante. #iostoacasa esprime il fallimento della libertà e della democrazia“.