Coronavirus, il virologo Crisanti: “Serve la mappa degli infetti reali per la fase 2”

"Prima di ripartire occorrerà fare uno sforzo per capire quanti sono i casi veri, non quelli diagnosticati. Serve una mappa degli infetti reali che determinerà la base da cui muoversi"
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“Prima di ripartire occorrerà fare uno sforzo per capire quanti sono i casi veri, non quelli diagnosticati. Serve una mappa degli infetti reali di coronavirus che determinerà la base da cui muoversi. Andrà fatta questa ricognizione” per il varo in sicurezza della fase 2. E’ la visione dell’epidemiologo e virologo Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di virologia e microbiologia dell’università di Padova.

Le misure di contenimento messe in campo dal Governo per frenare l’epidemia di nuovo coronavirus sono state prolungate fino al 3 maggio. Qual è la previsione per allora?

“Dal 4 maggio in poi – dice l’esperto all’Adnkronos Salute – pronostico che ripartiranno alcune attività, ma con attenzione. Perché il via libera a tutti indistintamente coinciderebbe con una ripresa dell’epidemia.” Il timore, riflette, è che per allora possa ancora “mancare un dato importante, e cioè l’incidenza reale della malattia. Esattamente quanti infetti ci sono. E’ fondamentale per avere una base di partenza, per capire da dove cominciare a fare i tamponi. Occorre registrare tutti coloro che dicono di avere sintomi compatibili con Covid-19. Fare i tamponi a loro per avere conferma della diagnosi direi che a questo punto non serve molto. Li farei subito per scovare i parenti e i contatti asintomatici”.

E poi ovviamente “a fine quarantena, perché è fondamentale essere certi che ci siano due tamponi negativi uno di seguito all’altro prima di far rientrare le persone”. Questo, osserva l’esperto, è un altro problema gigantesco, perché la scomparsa dei sintomi non si accompagna automaticamente alla negativizzazione e non sappiamo se queste persone possono trasmettere o no il virus”. 

Crisanti ha più volte sottolineato l’importanza di “arrivare preparati alla fase 2”, e ha evidenziato anche come “la ripresa sarà lunga e costellata di focolai“. In Veneto, dove il governatore ha varato il suo ‘lockdown soft’, “si lavora in questa direzione“, assicura. “La Regione non si discosta dalle disposizioni ministeriali, ma semplicemente aggiunge livelli di sicurezza, imponendo l’uso di mascherine, guanti, gel disinfettante per le attività e per uscire di casa. Non penso si discosti da quello che era il programma impostato dal governo”.

“Allo stesso tempo – aggiunge l’epidemiologo – sono stati fatti investimenti per incrementare la capacità di fare tamponi, condizione indispensabile per riaprire senza rischi. Dobbiamo sapere quanti infetti ci sono – ripete – e se abbiamo dei cluster d’infezione dobbiamo essere in grado di intervenire tempestivamente“, tracciando e screenando i contatti e “tornando dopo alcuni giorni a tamponarli di nuovo”, secondo la via tracciata “dal modello Vo’ Euganeo”. “Nello stesso tempo – continua – in Veneto si stanno seguendo capillarmente i casi diffusi per vedere se tra parenti, amici, vicini si celano asintomatici che possono essere fonte d’infezione. Stiamo procedendo su una strada che penso sia virtuosa. E’ un piccolo esperimento che ci dirà se il modello funziona. I numeri della regione, infatti, al momento sono aggredibili, visto che l’ultimo incremento è stato intorno ai 130-150 casi”. 

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