“I segni delle mascherine spariranno dalle facce dei nostri medici e infermieri, ma non dalla loro psiche. Non subito almeno, non in una volta sola”. Ecco una delle riflessioni del Prof. Vittorio Lingiardi, Ordinario di Psicologia Dinamica dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza” in merito al trauma secondario sperimentato dal personale sanitario impegnato nell’emergenza COVID-19; e aggiunge: “Chi cura va curato, chi guarisce va guarito”.
La situazione allarmante che si è da settimane delineata nel nostro Paese, e non solo, è ormai purtroppo ben nota a tutti.
Ogni giorno e a qualsiasi ora sentiamo e leggiamo notizie riguardanti l’emergenza covid-19. Le immagini di operatori sanitari infardellati e camuffati sotto i DPI (dispositivi di protezione individuale), nella speranza che questi possano riuscire a proteggerli, si susseguono sui nostri schermi e purtroppo iniziamo a sentire anche ciò che mai avremmo voluto sentire: qualcuno di quelli che noi chiamiamo “eroi” ha iniziato a crollare. Non ce l’ha fatta a reggere i turni stremanti, la fatica, la responsabilità di scelte cliniche e morali, la paura della contaminazione propria e dei propri familiari, la solitudine dei pazienti e anche la propria. Ciò dimostra che anche loro sono esseri umani vulnerabili, che per essere forti devono fare leva sulle loro risorse interne, sulla parte più resistente e nobile di sé, che li ha portati a intraprendere una professione di cura. Professione che mai avrebbero pensato li avrebbe portati a doversi confrontare con tale emergenza, con richieste così pressanti in tempi così ristretti.
Come afferma il Prof. Lingiardi, il rapporto tra numero di morti e il tempo psichico necessario per elaborarle è un rapporto impari. Tutto questo si verifica in un contesto nel quale la situazione del personale sanitario è già, di per sé, difficile a causa dei numerosi tagli alla sanità pubblica, dell’inadeguatezza degli stipendi e spesso anche delle strutture.
Ultimamente, la letteratura scientifica si è ampiamente occupata degli effetti psicologici dell’esposizione prolungata degli operatori delle professioni di aiuto, a situazioni di emergenza e potenzialmente traumatiche. Ma già dagli anni ’90 si era volto lo sguardo in questa direzione, osservando come l’esperienza traumatica potesse derivare non necessariamente dall’esperienza in sé, ma anche solo dall’osservazione di un individuo che soffre a causa di un determinato evento (Beaton et al., 1999). Una prima definizione di questa condizione fu quella di “traumatizzazione vicaria” (McCann e Pearlman, 1990), che descriveva un profondo coinvolgimento empatico con le esperienze traumatiche degli utenti; successivamente questo costrutto venne ampliato fino a comprendere la sintomatologia post-traumatica e il Dott. Charles Figley, traumatologo, lo definì “stress traumatico secondario”, che comprende l’ insieme delle reazioni comportamentali ed emotive sperimentate da chi viene a conoscenza di eventi traumatici sperimentati da altri, nel tentativo di prestare aiuto. La sintomatologia manifestata è simile a quella riscontrabile in un quadro clinico di disturbo da stress post-traumatico: pensieri intrusivi, evitamento, aumentato livello di arousal, compromissione del funzionamento dell’individuo (Figley, 1995; 2002; Figley e Roop, 2006). Dopo alcuni anni, Figley ipotizzò che la risposta all’evento traumatico si inserisse in un continuum, costituito da un estremo positivo, di soddisfazione lavorativa (compassion satisfation) e da uno negativo di logoramento (compassion fatigue).
Questa sindrome, definita anche dal Prof. Figley “cost of caring”, si origina dall’ osservare la sofferenza dei pazienti e dalla frustrazione di non riuscire ad alleviare le loro pene o, addirittura, non essere riusciti a strapparli alla morte; ma anche dall’ osservare la sofferenza e la fatica sui volti dei colleghi. I soggetti più fragili emotivamente, che hanno già sofferto di disturbi dell’umore, o che hanno già vissuto esperienze traumatiche e non sono riusciti ad elaborarle, hanno maggiori probabilità di sviluppare questo genere di sintomatologie. Ciò è dovuto anche al fatto che si tratta di un disordine subdolo, che non appare subito evidente, né ai colleghi e tantomeno a sé stessi.
Altri fattori, in grado di aumentare il rischio di sviluppare questo tipo di disordini, riguardano: la patologia dei pazienti, i turni stancanti, le difficoltà comunicative tra colleghi, la cattiva gestione dei ruoli, la tipologia dell’ incarico, l’ età dei pazienti.
Da ricerche condotte in precedenza, con operatori socio-sanitari intervenuti dopo la tragedia dell’ 11 settembre 2001, fattori protettivi, in grado cioè di prevenire o attenuare queste conseguenze, sembrano essere soprattutto un ambiente di lavoro supportivo, un’adeguata supervisione (Boscarino, Figley e Adams, 2004) e un alto grado di istruzione degli operatori.
A questo quadro sintomatologico, è molto probabile che possa affiancarsi il rischio di sviluppare una sindrome da Burnout: combinazione di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e senso di ridotta efficienza nello svolgimento della professione (Maslach, 1982), caratterizzata anche da stanchezza, senso di sopraffazione, cinismo, distress psicologico, insoddisfazione, appiattimento della comunicazione, rabbia, isolamento, senso di inadeguatezza, nonché sintomi fisiologici.
Appare quindi necessario, in tal contesto, avviare un piano di prevenzione e monitoraggio, a vari livelli, con l’intervento di specialisti della salute mentale, per fornire ascolto, supporto psicologico e indicazioni sulla gestione emotiva delle situazioni più difficili a tutto il personale sanitario impegnato in prima linea in questa emergenza, per evitare di dover contare in seguito altre vittime, dovute al crollo psicologico.
È utile, inoltre, ricordare l’ importanza di dedicare del tempo a sé stessi, svolgendo attività fisica, curando l’alimentazione, ritagliandosi occasioni di relax, di contatto con la natura, di espressione di creatività; dedicarsi a pratiche di meditazione che riportano l’attenzione su di sé e sulle proprie sensazioni corporee e mentali; riuscire a porsi dei limiti di tempo e impiego delle proprie risorse mentali, fisiche e psicologiche; e infine, ma non per ordine di importanza, va sottolineato che non si deve avere timore di chiedere aiuto.
Sono molte le iniziative promosse da Associazioni, dagli Ordini Regionali degli Psicologi e dal Consiglio Nazionale dell’ Ordine degli Psicologi, volte a fornire supporto e aiuto a distanza.
Tra le tante ricordiamo: Psicologi online (http://bit.ly/psicologionline), un motore di ricerca nazionale di professionisti disponibili ad effettuare interventi online.
Dott.ssa Caterina Imerti – psicologa
Riferimenti:
Compassion Fatigue, Secondary Traumatic Stress, Disorder Vicarious Trauma. Il costo della cura per gli operatori socio-sanitari. Prof.ssa N. Bobbo;
La qualità della vita professionale nel lavoro di soccorso: un contributo alla validazione italiana della Professional Quality of Life Scale (ProQOL). Luigi Palestini, Gabriele Prati, Luca Pietrantoni e Elvira Cicognani. Università di Bologna, Dipartimento di Scienze dell’Educazione
Prof. Vittorio Lingiardi, La Repubblica, 4 Aprile 2020.