Soccorso alpino: i medici servono in corsia, non in montagna

"I nostri medici e infermieri attualmente sono impegnati negli ospedali. Servono nella corsie covid e di certo non in montagna"
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“Mi rendo conto che è dura restare a casa, vedendo forse addirittura dalla finestra le tanto amate vette. Un incidente metterebbe però a rischio l’intera macchina dei soccorsi. I medici ci servono in corsia, non in montagna”. Lo ribadisce Giorgio Gajer, presidente del soccorso alpino Cnsas del Cai altoatesino, dopo la morte di un escursionista in valle Aurina. Il 47enne del posto è deceduto domenica per un arresto cardiaco, mentre si trovava sul Monte Lupo a 1.800 metri di quota, in compagnia del figlio, da poco maggiorenne. Un altro escursionista si sarebbe allontanato senza prestare aiuti, temendo un contagio oppure una multa.

“I nostri medici e infermieri attualmente sono impegnati negli ospedali. Servono nella corsie covid e di certo non in montagna”, aggiunge Gajer. La voglia di tornare a camminare è tanta, ma un incidente oppure un malore non può mai essere escluso. “Solo per fare un esempio, il rischio contagio in un elicottero sarebbe elevato, perché non ci sono separatori in plexiglass tra pilota e paziente, come invece di solito ci sono in un’ambulanza“, spiega il presidente del Cnsas altoatesino.

Gajer si dice anche preoccupato per il ‘dopo emergenza’, quando tanta gente tornerà in montagna senza la preparazione fisica adeguata e forse anche senza guida alpina per risparmiare due soldi in questa fase di grande incertezza economica. “Ci stiamo già preparando, dotando tutte le nostre stazioni di dispositivi di protezione individuale”, spiega. Un ulteriore problema – aggiunge – potrebbe essere rappresentato dai rifugi chiusi, che sono un’importante base logistica e di soccorso per chi si muove in montagna. “Serve davvero tanta pazienza e buon senso“, conclude.

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