Spinosaurus, il dinosauro acquatico: l’incredibile scoperta di un gruppo di ricerca internazionale [VIDEO]

Nuovi fossili riscrivono la storia dell'evoluzione e dell'ecologia dei dinosauri, ridefinendo l'aspetto dello Spinosaurus
MeteoWeb

Per molto tempo gli scienziati hanno avversato l’idea che i dinosauri vivessero in habitat acquatici. Ora un team internazionale di ricercatori, sostenuto dalla National Geographic Society, ha scoperto prove inequivocabili che lo Spinosaurus aegyptiacus – il più lungo dinosauro predatore conosciuto – era un animale acquatico e usava la coda come mezzo propulsivo durante il nuoto per cacciare le prede in un vasto sistema fluviale. È la prima volta che si riscontra un adattamento simile in un dinosauro.

La scoperta, pubblicata oggi sulla rivista Nature e sul sito di National Geographic, si basa su un’indagine multidisciplinare sull’unico scheletro di Spinosaurus esistente al mondo, rinvenuto nella regione di Kem Kem nel Sahara marocchino. Lo scheletro è a oggi il più completo per un dinosauro predatore cretaceo dell’Africa continentale.

Sotto la guida del Dr. Nizar Ibrahim, paleontologo della National Geographic Explorer e dell’Università di Detroit Mercy, il team è tornato nel sito in cui nel 2008 erano state rinvenute per la prima volta parti di uno scheletro di Spinosaurus. In uno studio precedente, lo Spinosaurus era stato identificato come un dinosauro ittiofago con adattamenti alla vita anfibia, Ipotesi supportata dal rinvenimento di arti posteriori relativamente corti, piedi larghi, tessuto osseo denso e mascelle allungate costellate da numerosi denti conici. Tuttavia, l’ipotesi che potesse essere un vero dinosauro acquatico era molto contestata, in gran parte perché lo scheletro parziale forniva scarse prove circa la struttura propulsiva necessaria alla locomozione di un dinosauro gigante in acqua.

Tra il 2015 e il 2019 il team di Ibrahim ha recuperato molti altri fossili dello scheletro, tra cui una coda straordinariamente completa, simile a una pinna, capace di ampi e potenti movimenti laterali e caratterizzata da spine estremamente lunghe. Di questa coda è conservato ben l’80% delle ossa, allineate su una lunghezza di quasi cinque metri.

“Quando fai una scoperta del genere l’emozione si fa sentire. Nessuno di noi si aspettava di trovare la coda di questo animale quasi per intero e con una forma simile!” commenta entusiasta Gabriele Bindellini, giovane dottorando dell’Università Statale di Milano che ha partecipato al team di ricerca, “Questa scoperta conferma quanto incredibile sia lo Spinosauro: un dinosauro perfettamente in grado di vivere e cacciare in un ambiente acquatico, con una grande vela sul dorso e una coda alta e piatta come un lungo nastro”.

Dopo aver preparato tutti i fossili, il team ha utilizzato la fotogrammetria per acquisire digitalmente l’anatomia degli elementi ossei della coda rinvenuti durante lo scavo, e produrre un modello 3-dimensionale accurato dell’animale. Questo metodo ha permesso inoltre lo studio dei reperti e la loro riproduzione a distanza con una stampante 3D.

Per valutare quantitativamente le prestazioni della coda, un team di ricercatori di Harvard ne ha realizzato un modello flessibile e lo ha agganciato a un sistema robotico che imita i movimenti del nuoto. Le prestazioni natatorie della coda dello Spinosaurus sono poi state confrontate con modelli di coda di altri animali, fra cui altri dinosauri, coccodrilli e tritoni. I risultati sono pienamente coerenti con l’idea di un vero “mostro fluviale” che viveva in acqua servendosi della coda come mezzo di propulsione.

“La scoperta confuta definitivamente l’idea che i dinosauri non-aviani non abbiano mai invaso l’ambiente acquatico”, dichiara Ibrahim, “Questo dinosauro inseguiva le prede nella colonna d’acqua, non si limitava soltanto ad aspettare il passaggio dei pesci in acque poco profonde. Probabilmente passava molto del suo tempo soprattutto in acqua”. Lo studio indica anche la possibilità di un’invasione persistente e diffusa di habitat acquatici da parte di parenti dello Spinosaurus.

Lo spinosauro rappresenta dunque un esperimento evolutivo unico, che non ha equivalenti nel regno animale.

“La scoperta, frutto della curiosità e della dedizione del Dr. Ibrahim, cambia le attuali conoscenze sui dinosauri”, commenta Alex Moen, vicepresidente dei programmi di esplorazione della National Geographic Society, “Il suo lavoro, al confine fra scienza e esplorazione, incarna l’impegno del National Geographic a far luce sulle meraviglie del mondo”. Da oltre 130 anni, la National Geographic Society investe in persone audaci con idee innovative.

Oggi tutte le ossa originali ritrovate nell’ambito del progetto sono ospitate presso l’Università di Casablanca in Marocco. Per il professor Samir Zouhri, uno degli obiettivi principali era creare competenze e infrastrutture nel Nord Africa: “In passato – spiega – fossili marocchini come questi sarebbero inevitabilmente finiti in collezioni europee, asiatiche o americane. Ora abbiamo qui in Marocco la migliore collezione di fossili di Kem Kem, con il più completo dinosauro predatore del Cretaceo dell’Africa continentale. Una grande svolta”.

Il team di ricerca

Insieme a Ibrahim, altri 16 ricercatori, tra cui sette italiani (Simone Maganuco. Cristiano Dal Sasso, Matteo Fabbri, Marco Auditore, Gabriele Bindellini, Diego Mattarelli e Davide Bonadonna), hanno firmato l’articolo pubblicato oggi online sulla rivista Nature.

Il team di ricerca è stato guidato dal Dott Nizar Ibrahim, paleontologo affiliato all’University of Detroit Mercy, nonchè National Geographic Explorer. Il team include scienziati da tutto il mondo, tra cui: Cristiano Dal Sasso and Simone Maganuco, Museo di Storia Naturale di Milano; David Martill, University of Portsmouth, UK; Matteo Fabbri, Yale University; Stephanie Pierce e George Lauder, Harvard University; Samir Zouhri e Ayoub Amane, Università di Casablanca in Morocco; Gabriele Bindellini, dell’Università degli Studi di Milano; Marco Auditore e Diego Mattarelli, collaboratori del Museo di Storia Naturale di Milano; David Unwin, University of Leicester, UK; Jasmina Wiemann, Yale University; Davide Bonadonna, Associazione Paleontologica Paleoartistica Italiana, Juliana Jakubczak, University of Detroit Mercy; e Ulrich Joger, Staatliches Naturhistorisches Museum Braunschweig.

Condividi