Coronavirus, Locatelli: “Se i dati tengono a Giugno riapriremo l’intero Paese”

I dati sull'andamento dell'epidemia di Covid-19 in Italia "sono positivi e, se rimanessero così, dal 3 giugno non ci sono ragioni tecniche per non riaprire tutte le regioni"
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I dati sull’andamento dell’epidemia di Covid-19 in Italia “sono positivi e, per quanto la decisione la prenderà la politica il 29 maggio, se rimanessero così, dal 3 giugno non ci sono ragioni tecniche per non riaprire tutte le regioni. Parola di Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità (Css), intervistato da ‘La Stampa’.

“La decisione la prenderanno Governo e Regioni. Noi del comitato tecnico supporteremo con i dati”, precisa, ma “se la curva del contagio rimarrà così si potrà considerare di riaprire completamente”. “Tutte le regioni sono migliorate – rileva Locatelli – anche la Lombardia e la Val d’Aosta non preoccupa: ha fatto tanti tamponi e ha una popolazione limitata”.

Pure in Lombardia sul fronte tamponi “la situazione è molto progredita, anche per altri parametri come le terapie intensive”, analizza l’esperto invitando a mantenere comportamenti responsabili: “Gli assembramenti vanno evitati perché il virus continua a circolare. Il Paese ha fatto uno sforzo immane che non va sprecato“.

Locatelli spera che con la ripartenza di questa settimana i numeri non peggiorino, “anche se un piccolo aumento dei casi è possibile – ammette – L’indice di contagio non deve superare l’1 e più resta basso più margini avremo per tornare a una vita normale”.

Senza mascherine né distanze? Per il numero uno del Css “sono valutazioni premature, che si potranno fare solo quando i casi saranno vicini allo zero in tutta Italia“. E i viaggi all’estero? “Si va verso una progressiva riapertura, ma sarà importante tracciare gli arrivi per prevenire contagi di ritorno”, avverte il medico.

coronavirus 01Meno contagi però ancora tanti morti, ieri 130. “Spero diminuiscano sempre di più, ma va ricordato – puntualizza Locatelli – che nel nostro giorno più buio, il 27 marzo, erano quasi mille. Purtroppo nelle epidemie l’ascesa è rapida, la discesa lenta”. Intanto il monitoraggio continua, con i tamponi come arma chiave: si potrebbero rendere più omogenei? “L’Italia è la nazione occidentale che ne ha fatti di più rispetto alla popolazione, nell’ultima settimana 60mila al giorno”, premette il presidente del Css. Ma “per non ‘scotomizzare’ la domanda, come dice Crozza quando mi imita, si è ridotto il ritardo grazie alla moltiplicazione dei laboratori e alla disponibilità dei reagenti“.

In fase 1 “la chiusura è stata fondamentale nel ridurre il contagio, i casi fatali e nel risparmiare Italia centrale,meridionale e insulare – esamina ancora l’esperto – I posti in terapia intensiva sono raddoppiati. Il sistema sanitario ha dato una grande prova e retto il confronto con altri Paesi. Forse sulla medicina di territorio si poteva fare meglio, ma non dimentichiamo l’unicità della pandemia”.

Per sconfiggerla si guarda al vaccino: davvero potrebbe non servire?E’ una speranza, ma anche una scommessa pericolosa – ammonisce il medico – Il vaccino è bene trovarlo anche se, nonostante le notizie incoraggianti, non arriverà prima del 2021“.

“Ci saranno analisi da fare e bisognerà sfruttare l’occasione per migliorare il nostro sistema sanitario, ma dopo la pandemia”. Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità (Css), risponde così in un’intervista a ‘La Stampa’ sulla gestione dell’epidemia Covid-19 in Italia e in particolare in Lombardia, oggetto di accese polemiche politiche.

A chi gli chiede che idea si è fatto del ‘caso Lombardia’, Locatelli, bergamasco, spiega che “il contagio incontrollato ha portato a un’epidemia difficile da gestire, nonostante gli sforzi degli ospedali. Restano nella memoria scene strazianti che artigliano la coscienza, come i camion dell’esercito che portano via le bare. Dal comitato tecnico abbiamo provato a offrire gli strumenti per contenere l’epidemia”.

Foto vchal/Getty

In regione hanno pesato i tagli ai posti letto e alla medicina territoriale, o sarebbe andata comunque così?Gli altri Paesi dimostrano che il coronavirus manda in crisi qualsiasi sistema sanitario – fa notare il medico – L’Italia inoltre” Sars-CoV-2 “lo ha affrontato per prima in Occidente”. Ma come mai non si fece la zona rossa a Bergamo? “L’Istituto superiore di sanità, considerando i dati, la valutava opportuna per Alzano e Nembro – sottolinea l’esperto – ma subito si è concretizzato il lockdown nazionale. Una scelta che in quel momento è sembrata la migliore”. 

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