“E’ un dato di fatto: con la riapertura possono presentarsi problemi e c’è il rischio di richiudere“: lo afferma, in un’intervista a Repubblica Massimo Galli, primario di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano.
La situazione di Milano “è un po’ una bomba, appunto perché in tanti sono stati chiusi in casa con la malattia, abbiamo un numero altissimo di infettati, che ora tornano in circolazione. E’ evidente che sono necessari maggiori controlli. Mi chiedo perché da noi ci sia stato un atteggiamento quasi forcaiolo nei confronti dell’uso dei test rapido, il ‘pungidito’, che poteva comunque essere utile“. “Che con la riapertura si possano presentare dei problemi è un dato di fatto“, la Lombardia “rischia di richiudere ma anche certe zone del Piemonte o dell’Emilia. Del resto si è deciso che se qualcosa va storto si torna indietro. Speriamo di no, comunque. Questo è il momento dell’estrema attenzione e responsabilità“.
“Alcuni hanno interpretato l’ingresso nella Fase 2 come un liberi tutti. E’ un segnale di grande pericolosità, perché dovrebbe invece prevalere la cultura della responsabilità per limitare al massimo i danni“.
“Se non passa la cultura della responsabilità, passeremo dei guai. E d’altro canto è la cronaca di un evento annunciato. Nel momento in cui, dopo tutto questo periodo di compressione e di limitazione della libertà di muoversi, evidentemente si apre uno spiraglio e diventa una breccia… speriamo non cada la diga“, ha dichiarato Galli ad Agorà su Rai 3. “In questi giorni mi aspetto di vedere una crescita dei casi osservati a Milano perché persone che non sono riuscite ad ottenere precedentemente il tampone arrivano finalmente a diagnosi, rappresentando di fatto la coda della prima ondata dell’epidemia. E’ fatale , è scritto che nei prossimi giorni avremo nuovi casi osservati senza che questo significhi che abbiamo ricominciato“.
Galli ricorda che “stiamo facendo una grande sperimentazione, perché questa cosa di distanziamento e mascherine, scelta su cui non ci possono essere dubbi, però dal punta di vista scientifico è la prima volta nella storia che applichiamo questa cosa per vedere se riusciamo a contenere la coda di un’epidemia come questa“.
Il virus si è affievolito? “Evidenze reali non ne abbiamo“. “Ho un’interpretazione diversa di questa apparente attenuazione: credo che stiamo osservando dal punto di vista clinico la coda di un’epidemia che ha visto le persone più fragili presentare le forme più gravi in tempi precedenti a questo e attualmente abbiamo nei nostri ospedali persone che si sono spostate verso forme meno gravi rispetto a quelle cui siamo stati abituati all’inizio. Ma questo non vuol dire che si sia attenuato il virus, vuol dire che chi doveva andare male è già andato male alla prima ondata dell’infezione“. “Perché per dire che il virus ha cambiato passo bisogna anche avere qualche evidenza molecolare che è mutato in maniera significativa. Non escludo che possa anche essere così ma questa è un’evidenza che al momento non abbiamo“.
“E’ improbabile che il virus girasse sottotraccia già a ottobre. Non è pensabile che singole persone che hanno preso un’influenza a ottobre abbiano avuto il Coronavirus. Perché questo è un virus che quando arriva si diffonde subito velocemente. Se così fosse stato quindi, queste persone avrebbero subito generato molti altri casi tra i loro contatti“. I dati “ci dicono che è comparso nell’uomo tra ottobre e novembre in Cina e ha avuto una evoluzione rapida, lì, tra dicembre e gennaio. Se ci fossero stati casi prima avremmo avuto epidemie prima in giro per il mondo“. A meno, conclude, “di non pensare che fosse un virus più tranquillo all’epoca, ma non è cosi“.