Il timore adesso è “una seconda ondata di contagi, che potrebbe essere anche peggiore della prima: sicuramente lo sarebbe dal punto di vista dell’impatto sul morale delle persone che hanno già sperimentato due mesi di quarantena a casa“: lo ha affermato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani, infettivologo del comitato tecnico scientifico, in un’intervista al Corriere della Sera. “È legittimo e comprensibile che si voglia tornare alla normalità man mano che si vede che i numeri migliorano. Ci sono regioni dove i numeri sono rassicuranti. Ma non lo sono dappertutto. La decisione di come riaprire, se in maniera univoca o differenziata, è squisitamente politica. Ma il rischio è l’eccesso di ‘entusiasmo’, il pensiero che sia finito tutto e si possa ricominciare come se niente fosse. Purtroppo non è così, non lo sarà per molto tempo ancora“.
Secondo l’infettivologo, a questo punto la responsabilità individuale “è fondamentale. È certamente più facile contenere l’epidemia come hanno fatto in Cina, ma la nostra fino a prova contraria è una democrazia, e in democrazia puoi comprimere i diritti individuali sino a un certo limite che forse noi abbiamo già valicato e che prima o poi (meglio prima che poi) dobbiamo tornare a rispettare“.
“Vista la diffusione del virus (siamo ormai oltre i tre milioni di casi accertati ufficialmente in tutto il mondo, ma quelli reali sono certamente molti di più) la convivenza è inevitabile. Le uniche armi che abbiamo ora sono quelle non farmacologiche, quindi distanziamento sociale, igiene delle mani, uso delle mascherine. Al momento in Italia solo il 4-5% della popolazione, cioè circa 2,6 milioni di persone, ha ‘incontrato’ il virus. Significa che circa 56 milioni di italiani sono ancora ‘territorio vergine’ per il Sars-CoV-2“.