Avere un gruppo sanguigno piuttosto che un altro potrebbe fare la differenza quando ci si ammala di Covid-19: il gruppo A è associato a un rischio più alto di sviluppare l’infezione in forma grave, mentre il gruppo 0 è correlato a un pericolo più basso. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato sul “New England Journal of Medicine“, un lavoro internazionale che parla italiano: in Italia è stato coordinato dal Policlinico di Milano.
Il progetto “STORM, STudio OsseRvazionale sulla storia naturale dei pazienti ospedalizzati per Sars-Cov-2” è frutto di una collaborazione internazionale tra centri di ricerca clinica di Italia e Spagna – due tra le nazioni più colpite duramente dall’emergenza COVID-19 – e genetisti tedeschi e norvegesi. Tra questi l’Università di Milano-Bicocca, in sinergia con l’ASST di Monza, ha avuto un ruolo fondamentale contribuendo con STORM, il super-archivio dei dati clinici, diagnostici, terapeutici e dei campioni biologici relativi ai pazienti COVID-19 ricoverati presso l’Ospedale San Gerardo di Monza e presso l’Ospedale di Desio, coordinato da Paolo Bonfanti, professore associato di Malattie Infettive.
COVID-19 è una infezione grave che ha causato centinaia di migliaia di morti e di cui ancora poco si conosce sia degli aspetti patogenetici, sia dei fattori correlati ad una evoluzione più grave della malattia e ad una maggiore suscettibilità ad essa. Da qui l’importanza dei cosiddetti “Genome Wide Association Study (GWAS)”, cioè studi genetici in cui viene analizzato tutto il genoma del numero più ampio possibile di persone affette da una particolare patologia per determinare se specifiche varianti genetiche si associno a sottogruppi particolari di pazienti, come ad esempio a quelli con la malattia più aggressiva e progressiva.
Nello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine sono state analizzate le sequenze geniche di 1610 pazienti affetti da COVID-19 ricoverati in tre ospedali italiani e quattro spagnoli, tutti con insufficienza respiratoria, ed in 2205 soggetti di controllo senza malattia. Il risultato principale dello studio è una forte associazione tra gruppi sanguigni AB0 e la tendenza ad avere un quadro clinico più severo. Il lavoro dimostra che il gruppo sanguigno 0 è associato ad un rischio più basso di sviluppare una infezione clinicamente grave mentre il gruppo sanguigno A è associato a un rischio più elevato. Le ragioni alla base di questo differente profilo di rischio saranno da approfondire con studi dedicati ma i risultati dello studio pongono un tassello importante verso la comprensione dei meccanismi patogenetici di una malattia la cui complessità costituisce una delle sfide più importanti della medicina moderna.
“Per ora abbiamo due marcatori genetici che indicano un aumento del rischio di gravità della malattia Covid-19: uno è il gruppo sanguigno, che conosciamo meglio, e l’altro è una regione del cromosoma 3 che comprende alcuni co-recettori del virus e fattori infiammatori, ma è ancora in corso di definizione. Conoscendo questi due fattori sarà possibile prevedere, nel caso l’infezione persista nella popolazione o si verifichi una seconda ondata, quali persone saranno più suscettibili a eventuali complicazioni“: lo ha spiegato Luca Valenti, medico del Centro trasfusionale del Policlinico di Milano e coordinatore italiano dello studio internazionale con cui è stato confermato un sospetto avanzato in un precedente studio cinese: il gruppo sanguigno A aumenta la probabilità di avere sintomi di Covid-19 più gravi.
“La novità della nostra ricerca – commenta Daniele Prati, direttore del Centro trasfusionale del Policlinico di Milano – è che nei pazienti presi in esame abbiamo analizzato tutti i marcatori dell’intero genoma, confermando per la prima volta in maniera sistematica che il gruppo sanguigno è uno dei fattori principali che portano a predire la gravità dei sintomi“. Con il lavoro del team internazionale è stato stabilito, conferma Valenti, “che è uno dei principali fattori ereditari che predispongono a sviluppare una malattia più grave per la Covid-19. In particolare, i risultati ci dicono che il gruppo sanguigno A ha un rischio aumentato di compromissione polmonare severa, mentre chi appartiene al gruppo 0 è più protetto. E dato che il gruppo sanguigno è ereditario, è possibile concludere che è ereditaria anche la predisposizione ai sintomi più gravi per questa malattia“.
“Capendo quali sono i fattori predisponenti – precisa Prati – riusciremmo a capire meglio quali sono i meccanismi della malattia e quindi ad elaborare delle terapie più efficaci“.