La luce ultravioletta a lunghezza d’onda corta, o radiazione UV-C, quella tipicamente prodotta da lampade a basso costo al mercurio (usate ad esempio negli acquari per mantenere l’acqua igienizzata) ha un’ottima efficacia nel neutralizzare il coronavirus SARS-COV-2: la conferma arriva da uno studio sperimentale multidisciplinare effettuato da un gruppo di ricercatori, con diverse competenze, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Università Statale di Milano, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT) e dell’IRCCS Fondazione Don Gnocchi.
«Gli studi effettuati sono di grande rilievo nell’ambito del contrasto alla pandemia da COVID-19 – spiega Mario Clerici, docente di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore scientifico dell’IRCCS di Milano della Fondazione Don Gnocchi – e dimostrano come l’approccio multidisciplinare condotto da ricercatori di Istituti diversi possa portare a eccellenti risultati».
La dose di una lampada inattiva il virus
È noto il potere germicida della luce UV-C su batteri e virus, una proprietà dovuta alla sua capacità di rompere i legami molecolari di DNA e RNA che costituiscono questi microorganismi. Diversi sistemi basati su luce UV-C sono già utilizzati per la disinfezione di ambienti e superfici in ospedali e luoghi pubblici. Tuttavia, per quanto spesso questa tecnologia venga richiamata pubblicamente a livello internazionale anche per la lotta alla diffusione della pandemia da COVID-19, una misura diretta della dose di raggi UV necessaria per rendere innocuo il virus non era stata ancora effettuata.
«Abbiamo illuminato con luce UV soluzioni a diverse concentrazioni di virus – spiega Mara Biasin, docente di Biologia Applicata dell’Università Statale di Milano – e abbiamo trovato che è sufficiente una dose molto piccola, equivalente a quella erogata per qualche secondo da una lampada UV-C posta a qualche centimetro dal bersaglio, per inattivare e inibire la riproduzione del virus, indipendentemente dalla sua concentrazione».
«Con dosi così piccole – aggiunge Andrea Bianco, tecnologo INAF – è possibile attuare un’efficace strategia di disinfezione contro il coronavirus. Questo dato sarà utile a imprenditori e operatori pubblici per sviluppare sistemi e attuare protocolli ad hoc utili a contrastare lo sviluppo della pandemia».
Il ruolo del sole nell’evoluzione della pandemia
Il risultato ottenuto è molto importante anche al fine di validare uno studio parallelo, coordinato da INAF e Università degli Studi di Milano, per comprendere come gli ultravioletti prodotti dal sole possano incidere sulla pandemia, inattivando in ambienti aperti il virus presente in aerosol nelle emissioni delle persone infette. In questo caso ad agire non sono i raggi ultravioletti corti UV-C (anch’essi prodotti dal sole, ma assorbiti dallo strato di ozono dell’atmosfera), bensì i raggi UV-B e UV-A. In estate, in particolare nelle ore più calde, bastano pochi minuti perché la luce ultravioletta del sole riesca a rendere inefficace il virus, come dimostrato di recente anche dal Laboratorio di Biodifesa del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.
«Il nostro studio sembra spiegare molto bene come la pandemia da COVID-19 si sia sviluppata con più potenza nell’emisfero nord della Terra durante i primi mesi dell’anno – aggiunge Fabrizio Nicastro, ricercatore INAF – e ora stia spostando il proprio picco nei Paesi dell’emisfero sud, dove sta già iniziando l’inverno, attenuandosi invece nell’emisfero nord». Sebbene altri fattori possano avere influenzato l’attenuazione del contagio che si registra nel nostro Paese da alcune settimane (distanziamento sociale, mutazione del virus, etc…), potrebbe essere istruttivo verificare nei mesi autunnali se una eventuale seconda ondata di contagi possa essere collegata alla minore efficacia del Sole nel neutralizzare il virus e quindi capire se il ruolo della radiazione emessa dal Sole sia stato determinante per l’attenuazione dei contagi, o abbia avuto solo un ruolo coadiuvante, e in che misura.
Lo studio di INAF e Università degli Studi di Milano è in linea con il modello del laboratorio di biodifesa delle forze armate americane, originariamente proposto nel 2005 da Lytle e Sagripanti, per spiegare l’andamento stagionale di certi virus, come ad esempio quelli influenzali.
“Le attività intraprese da INAF contro la pandemia COVID19 sono iniziate nello scorso marzo su specifico impulso diretto dal Ministero di Università e Ricerca a tutte le Università ed Enti di Ricerca. Le tecnologie e le competenze sviluppate in ambito astrofisico trovano ora applicazione e grande utilità per la società civile e sono utili al mondo imprenditoriale” osserva Giovanni Pareschi dell’INAF.
“Il contributo dell’INAF a queste problematiche, va oltre le specifiche competenze tecnologiche nel trattare la radiazione” afferma con soddisfazione il Presidente dell’INAF Nichi D’Amico, e prosegue: “c’è un altro aspetto più profondo, connesso ad una delle principali tematiche dell’astrofisica moderna e cioè la ricerca di forme di vita nell’Universo, che con l’Astrobiologia vede proprio lo sviluppo di conoscenze e tecnologie avanzate per la ricerca di potenziali forme di vita primordiale nell’Universo, dalle molecole organiche, ai batteri, ai virus, e per la comprensione del potere incentivante o disincentivante della radiazione, e in generale dei fattori ambientali, nello sviluppo della vita in altri mondi”.
In attesa di pubblicazione su riviste internazionali, i risultati dello studio sono al momento pubblicati in due preprint dell’archivio internazionale medrxiv, nella sezione speciale dedicata a COVID-19.
- A. Bianco, M. Biasin, G. Pareschi, et al, “UV-C irradiation is highly effective in inactivating and inhibiting SARS-CoV-2 replication”, https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.06.05.20123463v1
- F. Nicastro, G. Sironi, E. Antonello, et al., “Modulation of COVID-19 Epidemiology by UV-B and -A Photons from the Sun”, https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.06.03.20121392v1