Covid, nei prossimi 10 anni 10.000 morti in più per tumori del seno e colon-retto negli USA: “L’allarme si può applicare anche in Italia”

AIOM: "Nei primi 5 mesi del 2020, nel nostro Paese, più di un milione di esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo del 2019”
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“Con la diffusione dell’infezione da COVID-19, i Paesi hanno istituito il lockdown. Le decisioni sono state difficili e ritenute a beneficio della salute pubblica, anche se dannose per l’economia. Il timore di contrarre il coronavirus nelle strutture sanitarie ha dissuaso le persone dal seguire gli screening, le diagnosi e il trattamento delle patologie non–COVID-19. Le conseguenze sul cancro, per esempio, potrebbero essere significative. Che cosa si può fare per limitare queste conseguenze?”. È la domanda che pone Norman E. Sharpless, Direttore del National Cancer Institute (NCI), nell’editoriale pubblicato su Science (Science 19 Jun 2020: Vol. 368, Issue 6497, pp. 1290 DOI: 10.1126/science.abd3377). Lo si legge in un approfondimento pubblicato sul sito dell’Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica), che riportiamo di seguito

“Il cancro è una malattia complessa, la cui prognosi è influenzata dalle tempistiche della diagnosi e dell’intervento – spiega Norman E. Sharpless nell’editoriale -. In generale, prima comincia il trattamento, migliori sono i risultati. Dall’inizio della pandemia, negli Stati Uniti, si è già verificato un forte calo delle diagnosi oncologiche, ma non c’è motivo di credere che la reale incidenza del cancro sia diminuita. Le neoplasie, non rilevate in questo periodo, verranno comunque alla luce prima o poi, ma a stadi più avanzati e con prognosi peggiori. In molti ospedali, i cosiddetti trattamenti oncologici elettivi e gli interventi chirurgici sono stati posticipati per preservare la capacità clinica da dedicare ai pazienti COVID-19. Per esempio, alcuni pazienti ricevono cicli meno intensi di chemioterapia e radioterapia e, in altri casi, gli interventi per rimuovere i tumori di recente diagnosi sono stati rinviati. Non c’è dubbio che la pandemia COVID-19 stia causando ritardi nelle diagnosi e un’assistenza non ottimale dei pazienti oncologici”.

Quale potrà essere l’impatto della pandemia sulla mortalità per cancro negli Stati Uniti?

“I modelli sull’effetto del COVID-19 sugli screening oncologici e sul trattamento dei tumori del seno e del colon-retto (che complessivamente ammontano a circa un sesto di tutte le morti per cancro) – continua il Direttore dell’NCI – nella prossima decade suggeriscono all’incirca 10.000 morti in eccedenza per tumore del seno e del colon-retto, che è pari all’1% di aumento dei decessi per queste tipologie di tumori in un periodo in cui si stimano quasi 1.000.000 di morti per questi due tipi di cancro.* Il numero di morti in eccedenza per anno potrebbe raggiungere il picco nel prossimo biennio. Questa analisi è conservativa, perché non considera altre tipologie di tumore, l’ulteriore morbilità non letale dovuta al ritardo nella stadiazione, e presume una moderata interruzione dell’assistenza che si risolverà completamente in 6 mesi. Non prende in considerazione, inoltre, le differenze regionali in risposta alla pandemia, questi effetti infatti potrebbero essere meno gravi in zone del Paese con lockdown più brevi o meno rigorosi”.

“Oltre all’assistenza clinica, la pandemia da COVID-19 ha causato un’interruzione senza precedenti nella ricerca scientifica, con la chiusura di molti laboratori e il rallentamento degli studi clinici – sottolinea Sharpless -. Molti scienziati e medici stanno dedicando le attività di ricerca oncologica all’impatto di SARS-CoV-2 sul cancro. La comunità scientifica deve fornire assicurazioni che questa pausa è solo temporanea, perché gli studi clinici costituiscono l’unico modo per progredire nello sviluppo delle terapie contro il cancro. Tenuto conto della tempistica lunga tra ricerca oncologica di base e cambiamenti nella cura del cancro, gli effetti della pausa attuale nella ricerca possono portare a rallentamenti nel progresso oncologico per parecchi anni. Un’azione collettiva da parte della comunità dei clinici e dei ricercatori e delle agenzie governative può limitare l’impatto potenzialmente notevole. Il National Cancer Institute americano, per esempio, ha cominciato ad affrontare questo problema”. (vedi www.cancer.gov).

“L’NCI ha collaborato con la Food and Drug Administration per aumentare la flessibilità e il supporto ai trial clinici durante la pandemia – conclude l’editoriale a firma del Direttore Sharpless -. Per esempio, vi sono state autorizzazioni per accettare il consenso informato da remoto e altre variazioni del protocollo. Inoltre, il NCI ha annunciato numerosi nuovi trial clinici e opportunità di finanziamento volti ad affrontare il rapporto tra COVID-19 e cancro. Va sottolineato in particolare lo studio ‘NCI COVID-19 nei pazienti oncologici’, uno studio longitudinale prospettico che raccoglie campioni di sangue, imaging, e altri dati per capire come il COVID-19 influisca sui pazienti colpiti da cancro. Da un lato è stato prudente ritardare le procedure e rinviare le cure come conseguenza della pandemia, ma la diffusione, la durata e l’andamento di COVID-19 nel futuro rimangono ancora da chiarire. Tuttavia, ignorare troppo a lungo le condizioni non–COVID-19, come il cancro, che pongono in pericolo la vita, può trasformare una crisi sanitaria pubblica in molte altre. Cerchiamo di evitare questo risultato”.

Il commento di Massimo Di Maio, Segretario AIOM

Nei mesi scorsi, sia durante il picco dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia sia nel periodo immediatamente successivo, ci si è interrogati sulle conseguenze “indirette” della pandemia, in termini di danno sanitario non direttamente provocato dalle manifestazioni cliniche del virus, ma causato dalle conseguenze sull’attività clinica complessiva.

Le attività delle oncologie – come è stato ricordato tante volte in questi mesi – sono continuate anche durante il lockdown, e questo ha consentito l’inizio e la prosecuzione della maggior parte dei trattamenti antitumorali. D’altra parte, le attività chirurgiche hanno subito ritardi, e molti centri hanno notato una riduzione del numero di nuove diagnosi: questo è stato attribuito a vari fattori, tra cui l’interruzione dei programmi di screening, la rinuncia da parte di alcuni pazienti a recarsi in ospedale pur in presenza di qualche sintomo che avrebbe giustificato approfondimenti diagnostici, nonché la difficoltà da parte di medici di medicina generale e altri specialisti (inevitabilmente impegnati nella gestione dell’emergenza) a gestire casi sospetti.

Nell’editoriale pubblicato da Science, il direttore del National Cancer Institute Norman Sharpless sottolinea le possibili ripercussioni dei ritardi diagnostici (e in particolare dell’interruzione dei programmi di screening) sulla mortalità oncologica. I dati relativi all’eccesso di morti per cancro della mammella e cancro del colon-retto, riferiti alla realtà statunitense nel prossimo decennio, parlano da soli: si ipotizza un eccesso di circa 10000 decessi (pari all’1% del milione di morti attesi tra il 2020 e il 2030 per queste 2 patologie), con un effetto particolarmente marcato nei prossimi 2 anni e poi via via più contenuto, pur con ripercussioni fino al 2030. Si tratta di numeri che in termini relativi possono sembrare piccoli (riferendosi all’1% del totale dei decessi), ma in termini assoluti sono tutt’altro che trascurabili, dal momento che parliamo di 10000 decessi in più per 2 patologie che in questi anni si sono tanto beneficiate dell’effetto positivo dello screening sulla mortalità.

Anche in Italia, come in tutti gli altri paesi colpiti dall’emergenza, le attività legate agli screening oncologici sono state sospese. Già a maggio, peraltro, numerose voci si sono levate per sottolineare l’importanza della riapertura degli screening. Nel comunicato rilasciato da FAVO, AIOM, AIRO, SICO, SIPO e FNOPI per la XV Giornata Nazionale del Malato Oncologico, a maggio, si sottolineava che “nei mesi dell’emergenza, i programmi di screening sono stati temporaneamente sospesi in molte regioni italiane sia perché il personale sanitario è stato dirottato verso l’assistenza ai malati COVID sia perché la volontà di ridurre il rischio di contagio ha prevalso sulla necessità di eseguire visite ed esami diagnostici. Certamente, la sospensione di tre mesi degli screening per i tumori al colon retto, alla mammella e alla cervice si tradurrà in un significativo ritardo diagnostico.” La proposta contenuta in quel documento era quella di “riattivare con urgenza tutti i programmi di screening oncologici, prevedendo misure atte a facilitarne l’accesso in sicurezza tramite percorsi dedicati possibilmente in strutture sanitarie COVID free”.

AIOM ha chiesto quindi con convinzione la riapertura dei programmi di screening, sperando che il ritardo accumulato possa essere “assorbito” quanto prima e che le conseguenze potenzialmente negative sulla prognosi di malattia possano essere le più contenute possibili. È particolarmente importante, quindi, che il ritardo non diventi ancora più grande dei 3 mesi corrispondenti al periodo del lockdown e della massima emergenza. Il rapporto del Gruppo di Lavoro dedicato dell’Osservatorio Nazionale Screening fotografa lo “stop” delle attività di screening in questi mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, con ritardi intorno ai 3 mesi in tutte le Regioni. I numeri sono eloquenti: più di un milione di esami eseguiti in meno in tutta Italia, oltre 2000 diagnosi in meno di tumore della mammella, oltre 600 diagnosi in meno di tumore del colon, e oltre 4000 adenomi in meno del colon-retto. Quest’ultimo punto evidenzia come sia a rischio anche la riduzione dell’incidenza (oltre che della mortalità) ottenuta grazie all’identificazione mediante screening delle lesioni pre-cancerose. È essenziale che tutte le Regioni ripartano tempestivamente, e in sicurezza, perché si parla di numeri tutt’altro che trascurabili, e l’allarme lanciato dall’NCI per gli Stati Uniti si può applicare anche in Italia.

L’altro aspetto importante dell’editoriale di Sharpless riguarda l’impatto negativo dell’emergenza legata alla pandemia sulla conduzione delle sperimentazioni cliniche. Molti studi clinici sono stati sospesi. Questo ha provocato un rallentamento della loro conduzione, provocherà un ritardo nell’ottenimento dei risultati, e ha rappresentato una mancata opportunità per molti pazienti oncologici. Anche in questo caso, l’allarme di Sharpless si applica bene anche all’Italia. Ora la gran parte delle attività di sperimentazione è ritornata a regime, per fortuna, ed è quindi auspicabile che, anche in questo ambito, il ritardo accumulato si fermi a circa 3 mesi e possa essere recuperato nel prossimo futuro.

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