Coronavirus, parla il paziente 1: “In pratica ero morto, per me respiravano solo le macchine, salvato da persone speciali”

"Ero sveglio, ma non sapevo cosa c'era fuori, non mi veniva detto. Mi veniva detto semplicemente che c'era qualcosa di strano fuori"
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Ho passato più di 3 settimane in terapia intensiva. In pratica ero morto, per me respiravano solo le macchine. Quando sono stato dimesso” dalla rianimazione, “il personale sanitario cominciava già a scarseggiare. Mi immagino che si stessero ammalando. O magari per turni estenuanti il personale era veramente ridotto all’osso. Vedevo poche persone alla mattina e alla sera. Le due o tre infermiere che mi stavano vicino erano persone speciali dal punto di vista umano. Non avevo un giudizio prima sul Servizio sanitario nazionale, fortunatamente non ne avevo mai avuto così bisogno. Sono stato salvato, quindi per me non può che essere positivo. Grazie ne sono stati detti tanti” agli operatori sanitari che hanno fronteggiato l’emergenza Covid-19 “e continuano a esserne detti. Ed è giusto così. Sicuramente non ci si scorderà mai di quello che hanno fatto. Speriamo che si possa realizzare qualcosa di più per loro“. Lo ha dichiarato Mattia Maestri, noto come il ‘paziente 1′ di Codogno, la cui positività ha svelato la presenza di Covid-19 nel Paese.

Oggi Mattia torna con la mente a quei giorni, in occasione di un evento promosso a Palazzo Lombardia da Onda, Osservatorio nazionale sulla Salute della donna e di genere, in cui sono state anche premiate donne che con il loro impegno si sono particolarmente distinte nella gestione dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia. Proprio ieri ha partecipato alla staffetta che ha idealmente unito le prime due zone rosse d’Italia (Codogno e Vo’ Euganeo in Veneto); nei giorni scorsi aveva incontrato il presidente lombardo Attilio Fontana per un caffè a Lodi, e oggi è di nuovo in Regione ospite di un evento.

Dopo il risveglio, dopo le lunghe settimane trascorse intubato, Mattia spiega di esserci stato “per fortuna poco” ancora in ospedale. “Ho chiesto espressamente di poter andare a casa il più presto possibile. Non era bellissima la situazione in ospedale, non ero in camera da solo e c’era altra gente con me che non era guarita“. Quanto al giudizio sul Ssn, “osservo, non so entrare nei dettagli. A me personalmente non è mancato niente e sono molto contento”. “Ero sveglio, ma non sapevo cosa c’era fuori, non mi veniva detto, non ho mai visto nessuno. Mi veniva detto semplicemente che c’era qualcosa di strano fuori. Non ero neanche io al 100% ancora, e mi chiedevo cosa, però non sapevo nulla”. La “voglia di tornare a casa era a mille. Non avevo più voglia di stare lì”. E una volta tornato a casa, “purtroppo non avevo neanche la forza di restare in piedi. Ho dovuto aspettare un po’ prima di cominciare a muovere qualche passo”.

Di lì a poco sarebbe nata la sua bimba Giulia. Anche la mamma della piccola, positiva pure lei, ha dovuto trascorrere un paio di settimane all’ospedale Sacco di Milano. “Quanto sono tornato a casa – continua Mattia – la mia premura era cercare di recuperare le forze il prima possibile, in vista proprio di questo evento che poi è stato anticipato di qualche giorno. L’ho vista nascere e oggi stiamo tutti bene”. Tornando al mondo sanitario che si è occupato di Mattia e di migliaia di altri malati come lui, cosa succederà dopo i grazie, riflette il paziente 1, “purtroppo non so dire. Spero per loro il meglio, che possano ottenere il meglio per la loro vita e per la loro carriera. Non so andare nel dettaglio, non decido nulla io. Immagino che le idee siano quelle di ottenere qualcosa di più, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Non so se si può fare, speriamo. Sicuramente non ci si scorderà mai di quello che loro hanno fatto. Speriamo che si possa realizzare qualcosa di più per loro“, conclude.

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