Piede diabetico: primato per l’Istituto Clinico Beato Matteo, registra il minor numero di amputazioni al mondo

Il piede diabetico è una complicanza comune del diabete, poiché la sua prevalenza globale è di circa il 6,3%
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Uno studio lungo 10 anni dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano, con 583 pazienti coinvolti, ha dimostrato come la tempestiva presa in carico multidisciplinare del paziente diabetico abbassi drasticamente l’incidenza delle amputazioni nei casi di ulcera del piede (DFU: Diabetic Foot Ulcer).

L’ospedale vigevanese del Gruppo San Donato vanta il minor numero di amputazioni che siano mai state registrate al mondo in letteratura, se si considerano gli studi con pazienti comparabili a quelli analizzati nel lavoro. Questo risultato è stato ottenuto grazie a una costante attività di ricerca e a un approccio olistico e conservativo che tiene in considerazione tutti i fattori di rischio e le comorbilità, anche quelle non strettamente legate al diabete.

Lo studio condotto da un team coordinato dal dottor Carmine Gazzaruso – Responsabile delle Unità Operative di Diabetologia, Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Vascolari -che ha visto coinvolte anche l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e l’Università Magna Grecia di Catanzaro, si poneva l’obiettivo di individuare e valutare retrospettivamente i fattori che potessero in qualche modo predire l’esito infausto della DFU, ma anche l’insorgenza di recidive, il tasso di amputazioni e la mortalità in un vasto campione di pazienti diabetici di tipo 2.

Il piede diabetico è una complicanza comune del diabete, poiché la sua prevalenza globale è di circa il 6,3% e alto è anche il rischio di sviluppare DFU, che arriva del 25%. Le DFU sono associate a un tasso elevato di amputazioni fino a 40 volte superiore rispetto alla popolazione generale, amputazioni che sono correlate a una mortalità fino all’80% a 5 anni dall’intervento, con esiti peggiori rispetto ad esempio a quanto osservato in alcuni casi di tumore.

“Le DFU causano disabilità e hanno un impatto negativo sulla qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie, non solo a causa delle amputazioni ma anche per i lunghi tempi di guarigione necessari. Da non sottovalutare anche gli ingenti costi sociali ed economici correlati alla malattia” afferma il dottor Carmine Gazzaruso.

Un vasto campione composto da 583 pazienti diabetici che presentavano ulcere precoci (entro un mese dalla loro insorgenza) è stato arruolato e seguito nel corso dei 10 anni dello studio. Durante il periodo di follow-up, il 79,6% dei pazienti ha raggiunto la guarigione mediamente in 7 mesi, mentre il 6,9% ha mostrato una persistenza della DFU, ma solo il 9,9% ha effettivamente subito amputazioni minori, cioè al di sotto della caviglia, e solo il 3,6% amputazioni maggiori, ovvero sopra la caviglia.

Tra i pazienti guariti il 37,1% ha mostrato una recidiva di DFU che, come lo studio ha evidenziato in linea con la lettura internazionale, poteva essere associata alla presenza di una compromissione della funzione renale e ad alcune malattie cardiovascolari. Anche un basso peso oppure una perdita di peso recente, espressione di malnutrizione, potevano essere un campanello d’allarme per la persistenza e la mortalità legate al piede diabetico, così come l’osteomielite e la malattia delle arterie periferiche (PAD).

“Il nostro lavoro ha dimostrato che è possibile prevenire il cattivo esito della lesione ulcerosa attuando un atteggiamento conservativo, privilegiando quindi, in prima battuta, l’approccio medico rispetto a quello chirurgico, come ribadito anche nelle linee guida delle società scientifiche. Essenziale è anche la presa in carico multidisciplinare” afferma il dottor Gazzaruso. “Il piede diabetico infatti è una malattia sistemica, cioè è legato a tante malattie e quindi è necessario concentrare le cure non solo sul diabete, ma su tutte le patologie presenti. Occorre poi occuparsi rapidamente delle due condizioni che favoriscono la comparsa di lesioni, che sono la neuropatia e la PAD. In particolare, è necessario intervenire precocemente sulla PAD mediante la rivascolarizzazione d’urgenza che, nella stragrande maggioranza dei casi, si esegue con una angioplastica e il posizionamento di stent nelle arterie ostruite degli arti inferiori, esattamente come si fa per le coronarie nei casi di ischemia cardiaca” conclude lo specialista.

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