Autolesionismo: lo pratica un adolescente su 5, “uno stato di narcosi che ci illude di stare meglio”

L'autolesionismo è un comportamento compulsivo, come il gioco d'azzardo o il sesso sfrenato, che insieme al fumo e alle droghe sono "surrogati del bene"
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In Italia si stima che il fenomeno dell’autolesionismo riguardi il 20% degli adolescenti (un giovane su 5), in particolare ragazze. Un dato appena inferiore alla percentuale europea, che sale al 27,6% (oltre un ragazzo su 4). A diffondere le cifre del fenomeno, all’interno del quale la pratica più diffusa è il ‘cutting‘, il tagliarsi, è uno studio internazionale pubblicato nel 2019 sul Journal of Child Psychology and Psychiatry. Si tratta di un comportamento compulsivo, come il gioco d’azzardo o il sesso sfrenato, che insieme al fumo e alle droghe sono “surrogati del bene, situazioni nelle quali non sperimentiamo un benessere, ma solo un momentaneo eccitamento emotivo che produce uno stato di narcosi che ci illude di stare meglio“. Ad offrire una prima spiegazione all’agenzia Dire dei motivi di questi comportamenti è Carlo Melodia, psichiatra e psicoanalista, che ritornando sul ‘cutting’, aggiunge: “Nasce laddove c’è una profonda sofferenza e, ad esempio, è alla base del fenomeno ‘Blue Whale’– continua- una terribile esperienza iniziatica verso il suicidio, che viene spacciata come un sistema per trovare una propria forza e un nuovo status sociale e umano. Ragazzi che stanno meglio, rispetto a quelli che sono coinvolti nel ‘Blue Whale’, alle prime richieste di tagliarsi rispondono ‘non mi interessa’, perché sentono il richiamo di qualcosa di più vitale. Quelli più sofferenti possono essere attratti proprio per motivi narcotici“.

Del ‘Blue Whale’, ma non solo, Melodia tratta nel libro ‘Il male agito. Prospettive dal lato oscuro della psiche’ (Franco Angeli), scritto insieme ad altri tre coautori. Il testo verrà presentato nell’ambito del ‘Venerdì culturale’ dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) il 23 ottobre alle 21, sul tema ‘Il male agito. Psicologia e lato diabolico del Sé’. Interverranno, oltre Melodia, Claudio Widman, direttore Icsat (Italian Committee for the Study of Autogenic Therapy), e Bruno Tagliacozzi, coordinatore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicodinamica dell’età evolutiva IdO-MITE.

EFFETTO ‘NARCOSI’ DEL MALE – “I modelli più avanzati di psicologia del trauma e della dissociazione- prosegue lo psichiatra- ci dicono che chi subisce un trauma produce ormoni come il cortisolo e l’adrenalina che possono alleviare la nostra sofferenza. Ad esempio– chiarisce Melodia- andare a fare la roulette russa indica un grado di dissociazione psichica dove il male viene visto come un momento carico di un’emozione così forte che ci fa stare per un attimo apparentemente meglio, ma in realtà ci fa rivivere l’esperienza traumatica. Per questo la maggior parte delle azioni post traumatiche – il male agito – provoca degli stimoli negativi attraverso i quali riotteniamo lo stesso fenomeno, che è puramente palliativo“. In realtà è “una sensazione fittizia ed è concreto il rischio di vivere sempre dei surrogati del bene, se non impariamo che esistono degli stati psico-fisici in cui stiamo veramente e stabilmente bene- sottolinea Melodia- che è lo scopo di una psicoterapia multidisciplinare efficace“.

DOVE NASCE IL MALE – “L’esperienza del male– spiega Melodia- inizia fin dalla più tenera età. Il male è l’altra parte del bene. Quello che noi abbiamo imparato a chiamare male, attraverso le nostre esperienze più antiche, primarie, da neonati o appena abbiamo cominciato a dire qualche parola, in realtà è uno dei due poli dell’esperienza vitale attraverso l’archetipo che è connesso con la vita, l’archetipo del sé, noi junghiano lo chiamiamo così. Nell’esperienza consapevole- prosegue l’esperto- l’archetipo viene vissuto attraverso due poli opposti: il polo luminoso del bene e il polo oscuro del male, che nasce dall’esperienza più antica, che è quella neonatale. Infatti, già in quella fase della vita ci possono essere momenti di beatitudine se ci si sente puliti, sazi, protetti, con una temperatura ambientale buona e magari se c’è un sorriso di papà e mamma. Fanno male, invece, tutte quelle situazioni in cui mancano queste qualità positive: quelle in cui siamo digiuni, sporchi, in cui abbiamo freddo o caldo e in cui magari manca una carezza di papà e mamma. Da lì il bene o il male si irradiano per tutta la vita, attraverso sensazioni più complesse che non partono più dalle esperienze corporee, o almeno non sempre. Il medico– chiarisce Melodia- chiede ‘Dove ti fa male?’ Usando lo stesso termine che si usa per il male inteso in senso psicologico e metafisico“.

La capacità di distinguere il bene dal male, aggiunge lo psichiatra, “evolve gradualmente anche attraverso l’acquisizione di regole che vengono date ne primi anni di vita, poi attraverso la scuola e che ci fanno capire quello che fa bene o male agli altri, anche attraverso la propria esperienza. L’empatia, vivere dentro la sofferenza che noi infliggiamo agli altri– precisa- ci impedisce di infliggerla o almeno di ridurla“.

IL VENERDÌ CULTURALE IDO SU ‘IL MALE AGITO’ – Nel corso della presentazione del suo ultimo libro, Melodia affronterà “il male con un approccio psicoanalitico junghiano, attraverso due amplificazioni: come veniva visto nella tradizione ebraico-cristiana, anche con una piccola appendice islamica, e nell’antica Grecia. L’obiettivo è capire che il bene e il male sono sempre esistiti in maniera diversa, prima e dopo l’avvento di Mani (da cui viene il termine manicheo) che tende proprio a favorire la scissione. Altri hanno invece tentato di ricomporre il quadro con l’integrazione. Il mio lavoro consiste nell’aiutare le persone, prevalentemente in una visione dissociativa della personalità, a reintegrarle. Questa è la tradizione più antica di Jung. Un lavoro molto importante– conclude- per ridurre il male“.

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