Coronavirus, Gimbe mette in allerta: “Deve preoccupare la curva, il virus è in vantaggio”

"Siamo in ritardo e il virus è in vantaggio". E gli effetti delle eventuali misure restrittive, ricorda, si potranno vedere sono dopo almeno due settimane
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I dati quotidiani sui contagi del Covid non sono significativi, quello che preoccupa è la velocità con cui il virus si muove e la crescita della curva. Il virus è in vantaggio”: a dirlo è Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe che sottolinea come non possa esistere la logica del numero-soglia di casi quotidiani da non superare. “I dati arrivano sempre in ritardo e le situazioni regionali sono diverse. il dato nazionale va sempre spacchettato” spiega. E anche le misure dovrebbero essere commisurate a questi valori locali.Siamo in ritardo e il virus è in vantaggio“. E gli effetti delle eventuali misure restrittive, ricorda, si potranno vedere sono dopo almeno due settimane.

E’ fondamentale interpretare la “densità” del contagio utilizzando il numero dei casi attualmente positivi, parametrati alla popolazione residente e non guardando ai numeri assoluti. Lo spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Ciò, spiega, “perché altrimenti sono sempre le regioni più popolate ad influenzare politica e opinione pubblica sull’andamento dell’epidemia, sottovalutando, o addirittura ignorando quelle piccole dove il numero di contagi è apparentemente esiguo. L’indicatore più affidabile per misurare la densità del contagio e’ il rapporto positivi/casi testati”.

Attenzione però, aggiunge, “non il rapporto positivi/tamponi totali che includendo quelli di controllo (circa il 40%) e che sottostima di molto la circolazione del virus”. Secondo questo rapporto, con i dati del 16 ottobre, le prime tre regioni con un valore più alto sono la Valle d’Aosta (22.8), seguita dalla Liguria (18.8) e dal Piemonte. Calabria (2.7), Basilicata (2.8) e Lazio (4.2) sono invece quelle con densita’ minore. Il numero assoluto dei casi vede invece in testa la Lombardia (19.128), la Campania (14.354) e il Lazio (12.317).

Gimbe: “Sì a misure drastiche subito”

Il governo si prepara ad approvare, già nelle prossime ore, un nuovo Dpcm contenente misure restrittive contro la diffusione dell’infezione da Covid-19. Fanpage.it ha fatto il punto della situazione, cercando di capire che cosa ci aspetta nei prossimi mesi, con il presidente della fondazione Gimbe, che ha definito le misure introdotte con il Dpcm del 13 ottobre come ‘insufficienti’ ad arginare il contagio. Le misure sono troppo blande rispetto alla velocità di ascesa della curva del contagio, oltre che tardive perché i numeri odierni riflettono comportamenti di 2-3 settimane fa. Peraltro, gli effetti di tali misure saranno difficilmente misurabili perché neutralizzati sia dall’incremento esponenziale dei contagi, sia dall’ulteriore sovraccarico dei servizi sanitari dovuto alla stagione influenzale. Più in generale le misure restrittive – nazionali regionali o locali – non possono inseguire i numeri del giorno, ma devono essere commisurate alla proiezione della curva dei contagi a 3-4 settimane. Altrimenti, i tempi della politica e della burocrazia, mettono il turbo ad un virus già velocissimo.

“Purtroppo il trend da lineare è diventato esponenziale. La crescita dei contagi, dopo l’impennata di ferragosto, si era stabilizzata intorno a 10-12 mila casi settimanali sino a fine settembre. Ad ottobre nella prima settimana il monitoraggio GIMBE ha riportato oltre 17 mila casi e nella seconda più di 35 mila. Adesso nella terza settimana i nuovi casi sono già oltre 26 mila casi e supereranno il tetto dei 50 mila. Siamo in una fase di circolazione del virus molto sostenuta, documentata dall’impennata del rapporto tra positivi e casi testati: la media nazionale negli ultimi 7 giorni è dell’8% con punte del 22,8% in Valle d’Aosta e del 18,8% in Liguria. In ogni caso, numeri e trend documentano inequivocabilmente che nelle Regioni dove il tracciamento dei casi è fuori controllo iniziano a riempirsi gli ospedali. E anche qui la curva negli ultimi 10 giorni ha cambiato decisamente passo. Al 16 ottobre ci sono 6.178 pazienti ospedalizzati con sintomi e 638 in terapia intensiva. Al 1 ottobre i numeri corrispondenti erano 3.097 e 291. Durante l’estate si è avvertito più volte sui rischi che si sarebbero incontrati con l’arrivo dell’autunno‘”

Al di là di un’estate vissuta con eccessiva disinvoltura e del mancato potenziamento dei trasporti pubblici in occasione della ripresa del lavoro e della riapertura delle scuole, dal punto di vista sanitario il tallone di Achille è rimasto il sistema di tracciamento. Nonostante le risorse assegnate del Decreto Rilancio, i servizi sanitari territoriali responsabili del testing & tracing non sono stati adeguatamente potenziati durante i mesi ‘tranquilli’, quando i casi settimanali erano solo 1.400 casi. Ho più volte ribadito che la scialuppa di salvataggio della seconda ondata non sono le terapie intensive, ma i tamponi e le strategie di tracciamento e isolamento, di fatto mai potenziate in maniera adeguata. Ma ormai in alcune regioni è troppo tardi perché questo argine è ormai crollato’.

Il Cts e l’Iss suggeriscono di valutare misure selettive che possono essere irrigidite nel tempo, tra cui lockdown mirati. “Perfettamente in linea con l’appello della Fondazione GIMBE che ha invitato Presidenti di Regioni e amministratori locali, sindaci in primis, ad intervenire tempestivamente con misure restrittive locali, compresi lockdown mirati, per spegnere i focolai, arginare il contagio diffuso e prevenire il sovraccarico degli ospedali. Occorre agire tempestivamente dove il contagio corre più veloce: con l’aumentare vertiginoso dei numeri, il dato nazionale non rende conto delle marcate differenze regionali e provinciali che richiedono provvedimenti più restrittivi al fine di circoscrivere tempestivamente tutti i focolai e arginare il contagio diffuso. Altrimenti, il virus continua a correre e per rallentarlo servono decisioni su scala più ampia, regionali o nazionali”.

I tamponi rapidi costituiscono uno strumento fondamentale per potenziare le attività di testing, in particolare perché possono sostituire il tampone classico per le attività di screening. Ma anche qui siamo in ritardo clamoroso: se alcune Regioni si erano già mosse in autonomia, la richiesta pubblica di offerta del Commissario Arcuri che prevede l’acquisto di 5 milioni di tamponi rapidi, è scaduta lo scorso 8 ottobre. Tuttavia ad oggi non si conoscono né i tempi di approvvigionamento, né le tempistiche e i criteri di redistribuzione alle Regioni. Inoltre vi sono oggettive difficoltà che ostacolano l’utilizzo immediato dei tamponi rapidi, sia negli ambulatori di medici e pediatri di famiglia spesso strutturalmente inadeguati a garantire percorsi dedicati per sospetti casi COVID, sia nelle scuole dove la figura del ‘medico/infermiere di plesso’ non risulta ancora sistematicamente implementata, sia più in generale per la necessità di un adeguato training dei professionisti destinati ad utilizzarli (medici di famiglia, pediatri, infermieri scolastici, etc.) perché la probabilità di risultati falsamente negativi aumenta in mani non esperte”.

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