La quantità di notizie relative al tema dei cambiamenti climatici con cui entriamo in contatto quotidianamente è impressionante, ma come districarsi tra verità e fake news? A questa e ad altre domande hanno risposto Naomi Oreskes, geologa e storica della scienza, e Daniela Ovadia, neuropsicologa e divulgatrice scientifica, in occasione della XVIII edizione di BergamoScienza, il festival di divulgazione scientifica, in corso fino al 18 ottobre con una speciale edizione tutta digitale. Naomi Oreskes, docente di Scienze della Terra e Planetarie all’Università di Harvard, oratrice pubblica di fama mondiale e grande studiosa dei cambiamenti antropogenici, è promotrice di numerose campagne contro la disinformazione anti-scientifica. Tra i suoi libri più recenti, Discerning Experts (Univ. Chigago Press, 2019) e Why Trust Science? (Princeton Univ. Press, 2019).
Oreskes e Ovadia si sono collegate con la meteorologa e climatologa Serena Giacomin per indagare i dubbi e le controversie che negli ultimi anni hanno caratterizzato la questione climatica.
Il primo tema affrontato è stato quello della percezione delle informazioni relative al cambiamento climatico da parte delle persone. Daniela Ovadia ha spiegato: “La percezione delle informazioni che hanno intrinseche” velature di “minaccia è stata studiata in psicologia sociale e cognitiva. Le notizie, i fatti, i numeri, non sono mai neutri quando vengono recepiti dalla persona che ascolta. Dietro il dato nudo e crudo, c’è tutto un vissuto personale legato ai timori, per esempio, che un certo tipo di informazione porti a richieste che riguardano la nostra vita quotidiana. Informare su questi temi non è mai semplice. Quando noi giornalisti scientifici lavoriamo su questi temi, non sono soggetti a interpretazione, ma nella ricezione delle notizie non è così. Uno dei problemi che abbiamo come comunicatori della scienza è che siamo stati addestrati al giornalismo del fatto neutro ma non siamo addestrati a prendere in considerazione il vissuto delle persone”.
Naomi Oreskes aggiunge: “Una delle sfide per comunicare sui cambiamenti climatici è il fatto che è qualcosa di minaccioso, la gente ha paura e a nessuno piace ricevere brutte notizie. I “Mercanti dei dubbi” (il titolo di un suo libro in cui si identificano parallelismi tra la controversia sul riscaldamento globale e le passate controversie su tabacco, piogge acide, DDT e buco dell’ozono, ndr) hanno seminato l’idea che non si ha certezza” sui cambiamenti climatici. “Non è più credibile sostenere che non si ha certezza”, continua l’esperta, “ma sono argomenti convincenti, se qualcuno ci viene a dire “non ti preoccupare”, tutti siamo disposti a prestare ascolto”.
Daniela Ovadia fa una distinzione precisa quando si parla di fake news: “Distinguerei tra dubbio e fake news, sono entità diverse. Il dubbio cattivo, il dubbio nel senso di “non sono convinto che la scienza dietro questa affermazione del cambiamento climatico sia solida”, risponde ad una predisposizione psicologica molto umana. In medicina, ci insegnano che è molto difficile convincere le persone ad abbandonare abitudini non salutari. Siamo estremamente conservatori sulle abitudini di vita. Uno dei problemi della comunicazione del cambiamento climatico è che ogni volta che immaginiamo una possibile soluzione, la trasmettiamo come sacrificio. Ci sono espressioni che sono infelici di per sé, come “decrescita felice”. Sono ossimori. È un’espressione che fa appello ad una scelta ideologica in cui però si deve rinunciare a qualcosa. Dobbiamo trovare il modo di comunicare questi cambiamenti delle abitudini in un modo che non sia punitivo”.
“Le fake news hanno tante ragioni per cui si diffondono facilmente. Ci sono fenomeni studiati, come i social media. Anche le reti sociali di un tempo producevano fake news, solo che la velocità e la modalità di trasmissione di una notizia falsa erano limitate a piccoli gruppi, richiedeva tanto tempo. Oggi con i social amplifichiamo sia la velocità che la numerosità delle notizie false. Ci sono dei meccanismi automatici, come il pregiudizio di conferma, in cui abbiamo la tendenza ad andare a cercare una nozione che conferma il nostro punto di vista”, aggiunge ancora Ovadia per spiegare la diffusione delle fake news.
Giacomin ha parlato del rapporto con l’incertezza e il dubbio, affermando che sembra che sia difficile accettarli quando si parla di scienza, quindi anche di cambiamenti climatici. Ovadia ha commentato: “In Italia, non abbiamo l’idea della scienza come processo in divenire, non si accetta che abbiamo verità temporanee. Siamo stati un Paese poco interessato alle questioni scientifiche. Quando queste hanno iniziato a influenzare la nostra vita quotidiana, per esempio, come con gli Ogm, i cambiamenti climatici, la ricerca sugli embrioni, ci siamo divisi in fazioni “pro scienza” e fazioni “anti scienza”. Quando la scienza diventa religione, e da noi è un po’ così, il problema è riuscire a veicolare l’idea di scienza rispettosa della metodologia scientifica”, che si basa proprio sul dubbio e sull’incertezza.
Naomi Oreskes aggiunge: “I problemi che stiamo affrontando con il cambiamento climatico non sono nuovi. Certi interessi economici hanno messo in discussione la concezione scientifica. Nel libro “Mercanti di dubbi”, abbiamo dimostrato che questo partiva già dall’industria del tabacco, che ha rifiutato le notizie della negatività del fumo sull’uomo. Nella pandemia, si stanno ripetendo gli stessi modelli. Le persone non accettavano le prove scientifiche o i consigli degli scienziati. Non si tratta di “dubbio” ma è la curiosità nella scienza, il buon dubbio è un sano scetticismo. Operare la distinzione tra dubbio e curiosità molto è utile”.
Sul modo in cui migliorare la comunicazione scientifica, anche quando si tratta di cambiamenti climatici, Ovadia afferma: “Una delle prime norme di un buon giornalista è offrire al proprio lettore tutta la verità delle opinioni esistenti su un certo tema. Le opinioni hanno tutte lo stesso valore in termine di fattualità, hanno la stessa dignità. Ma nella scienza non funziona così. Non tutte le opinioni hanno lo stesso valore: alcune sono suffragate dalla scienza, altre no. Il problema è far passare alla comunità di giornalisti e comunicatori che quando si parla di scienza non tutto ha lo stesso valore”.
Sulla possibile influenza di finanza ed economia nella scienza, Naomi conclude: “Finanza ed economia hanno un ruolo importantissimo. Ci sono casi in cui gli scienziati hanno conflitti di interesse economici. Gli scienziati devono essere trasparenti sui finanziamenti, in modo tale che i cittadini possano giudicare se esistono conflitti. Nel cambiamento climatico, il conflitto ha a che vedere con la disinformazione, sono persone che hanno legami con l’industria dei combustibili fossili. È importante capire dove esiste il conflitto d’interesse. Spesso pensiamo alla competenza come se fosse solo individuale”. Se due scienziati hanno opinioni contrapposte sullo stesso tema, “pensiamo che stiano litigando e ci sentiamo confusi, ma la competenza scientifica non è insita in un individuo ma nella comunità di scienziati”, conclude Oreskes.