Il Veneto ha vissuto un weekend di forte maltempo, con piogge torrenziali di portata eccezionale e intense nevicate che hanno prodotto metri di accumulo. La fase piu’ preoccupante dell’ondata di maltempo “si e’ conclusa” e le piene dei fiumi “sono transitate”, anche se rimane alto sia il rischio frane sia il rischio valanghe. A fare il punto della situazione e’ l’assessore regionale all’Ambiente, Giampaolo Bottacin, questa mattina in conferenza stampa insieme al governatore Luca Zaia.
“Secondo le previsioni Meteo oggi avremo un po’ di tregua poi riprenderà la pioggia fino a mercoledì notte, anche se con minore intensità rispetto allo scorso fine settimana. Ha piovuto di più perfino anche dell’alluvione del 1966: e allora ci furono oltre 100 morti, ma grazie alle opere realizzate in questi anni non abbiamo avuto le conseguenze del passato“, ha detto Bottacin. Per “le valanghe il rischio rimane elevato nella parte alta della provincia di Belluno. Numerosi gli smottamenti, quello più importante ha bloccato la Val di Zoldo nel bellunese, ma ce ne sono anche altri sempre in provincia di Belluno, a Vicenza e Treviso. La frana di Perarolo di Cadore si è messa in movimento con una velocità tale che stiamo valutando l’evacuazione di alcune persone. Mentre è stata riaperta la strada per Misurina e i fiumi in questo momento sono sotto controllo”.
I mezzi e gli operatori di Veneto Strade sono ancora al lavoro in alta quota per ripulire le strade dai detriti caduti ieri e nelle ultime ore a causa del Maltempo, ed evitare il rischio di isolamento dell’alto Zoldano e dell’Alpago. Preoccupa in particolare la situazione sulla strada provinciale 251 della Val di Zoldo e Val Cellina: “Probabilmente per la grandezza dei massi caduti su questo tratto una delle opzioni potrebbe essere l’utilizzo di esplosivi – spiega il direttore generale di Veneto Strade, Silvano Vernizzi – il materiale franato e’ consistente e si lavora anche per mettere in sicurezza il versante, prima di aprire completamente la strada. Stiamo programmando delle aperture parziali”. A Torri di Quartesolo sono state evacuate 15 persone a causa dell’allagamento e “si sta lavorando per il ripristino“. Per lo sgombero della casa di riposo di Alpago “la macchina ha funzionato bene– rivendica Bottacin – devo ringraziare la Aulss, sono arrivate 32 ambulanze nel giro di un’ora”. L’assessore fa poi il quadro di tutti gli interventi di opere idrauliche fatte e progettate finora. E chiosa: “Abbiamo investito gia’ un miliardo di euro, che hanno avuto efficacia. Ma forse non c’e’ percezione da parte dei cittadini”.
“Ieri c’è stata più acqua del 2010. Se non avessimo fatto le opere fatte, nonostante i ricorsi e gli espropri, Vicenza sarebbe andata sotto acqua. Lavori che non venivano fatti da 80 anni. Il dissesto idrogeologico continuerà ad esserci, possiamo solo incanalare l’energia della natura per fare meno danni possibili”, ha detto Zaia. “Faccio appello a tutti, non andata e intralciare i soccorsi in montagna. Ieri le forze di polizia hanno rispedito a casa molti turisti. Abbiamo frane ciclopiche, siamo nei “casini”, non venite a fare turismo del macabro, fatele altrove le vostre storie Instagram”, ha aggiunto.
Tra le opere che hanno contribuito a contenere i danni, c’è sicuramente il Mose. Il sistema a barriere è stato sollevato per 40 ore consecutive nel weekend (abbassato solo brevemente per consentire il transito di alcune imbarcazioni a Malamocco) ed ha salvato la città di Venezia da due picchi di acqua di 130 centimetri.
Geologi: “In Veneto serve un piano per rischio idrogeologico”
“Un evento meteorologico per certi versi simile al 2010, con precipitazioni nevose abbondanti, seguite da un rialzo termico e successive piogge con forti venti sciroccali, hanno messo in ginocchio la nostra Regione. I danni si contano dalla montagna, alla pianura, al mare. E poteva essere un vero disastro. Le opere realizzate a monte, come i due bacini di laminazione messi in funzione, hanno scongiurato una nuova alluvione a Vicenza dove il Bacchiglione ha superato i 5 m. A Venezia Il Mose ha evitato un’altra acqua alta eccezionale. Tutto risolto allora? No, qualcosa è stato fatto, questo è innegabile, ma molto è ancora da fare”. A dirlo sono Tatiana Bartolomei e Niccolò Iandelli, rispettivamente presidente e segretario dell’Ordine dei geologi del Veneto.
“Sul rischio idrogeologico si deve strutturare un piano regionale che coinvolga gli attori principali (professionisti tecnici, Università ed Enti) e consideri non solo l’idraulica dei corsi d’acqua ma l’intera struttura idrogeologica costituita non solo dal corso d’acqua in senso stretto ma dal territorio che lo circonda – continuano -. La tutela parte da qui. Non è più sufficiente innalzare argini, costruire bacini di laminazione per trattenere l’acqua, ma olte a queste opere di sicura importanza si deve cambiare la cultura della prevenzione, dalle piccole alle grandi opere. Per questo serve un cambiamento di rotta”. “Da anni reclamiamo come serva un controllo capillare del territorio – aggiungono -, scarsi se non quasi assenti i tecnici che abbiano una conoscenza del territorio impiegati nei comuni, ancor meno nelle Provincie e in Regione. Da tempo stiamo assistendo, in particolare negli uffici periferici e operativi, del mancato ricambio generazionale, frutto di una politica sempre più condizionata e legata alla sola disponibilità di finanziamenti solo in occasione dell’ennesimo “stato di emergenza”. Ciò provoca un susseguirsi di emergenze senza lasciar spazio ad una vera e propria azione di pianificazione idrogeologica che sia strutturale e pluriennale”.
“Sempre più spesso la progettazione urbanistica, architettonica e anche strutturale non considera l’inserimento di un’opera nel territorio, l’impatto che potrebbe avere sulla circolazione idrica sotterranea e superficiale, sulla stabilità dei versanti e in pianura nella regimazione di fossati e canali – evidenziano i geologi -. Come categoria diciamo da anni che bisogna cambiare, non si può sempre ragionare in un clima di emergenza, servono fondi da investire nella prevenzione idrogeologica, intesa come capillare conoscenza della risposta che un territorio può avere ad eventi estremi, questi permetterebbero di rimettere in moto l’economia con una sicura ricaduta occupazione ed evitare poi di spendere ingenti risorse per pagare i danni causati. Imparare ad essere resilienti significa convivere con questi eventi e saperli gestire, una strada che abbiamo iniziato a percorrere, con piccoli e timidi passi, ma che ha ancora bisogno di supporto: snellimento delle procedure burocratiche, velocità di risposta del sistema agli eventi, innovazione nella visione della gestione del territorio”. “Le condizioni climatiche che ormai sempre più frequentemente si presentano sono sempre più veloci della lenta e farraginosa macchina, non ottimizzata, della prevenzione del rischio idrogeologico – concludono -. Proprio ora che si parla di come investire i fondi europei va fatto un piano sostenibile, e quale può essere l’investimento più sostenibile di quello messo in campo per attenuare il rischio idrogeologico di un territorio? Un territorio sicuro, dal punto di vista idrogeologico ma anche sismico, è sede di un’economia e di investimenti sicuri”.