Le condizioni dell’inverno rappresentano un rischio per la salute ogni anno, anche in assenza di pandemia, e quest’anno, proprio a causa dell’emergenza sanitaria globale, gli effetti possono essere anche peggiori. Mentre la ricerca sul ruolo delle condizioni meteo nella diffusione del Covid-19, la malattia provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, si espande, un nuovo studio suggerisce che comprendere il fattore della luce solare è fondamentale per affinare le strategie di contrasto alla pandemia. La stagionalità del virus rimane un importante pezzo da mettere insieme nel puzzle della pandemia, poiché l’effetto stagionale potrebbe aiutare a comprendere meglio i pattern di diffusione del virus e dare importanti informazioni sulle risposte sanitarie, tra cui i vaccini.
Un recente studio, pubblicato sula rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, svela che la luce ultravioletta ha un effetto particolarmente importante sulla diffusione di SARS-CoV-2. Secondo lo studio, la mancanza di intensità del sole nei mesi più freddi dell’anno potrebbe aumentare la trasmissione della malattia. Ma questo comporta anche una buona notizia: l’aumento di luce solare a cui andiamo incontro potrebbe dare nuova speranza nella lotta alla pandemia, in particolar modo in estate. “Siamo sicuri dell’effetto UV, ma questo è l’unico pezzo del quadro della stagionalità”, afferma Tamma Carleton, ricercatrice principale dello studio.
Per giungere a questi risultati, i ricercatori della Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences hanno utilizzato i dati ambientali per analizzare come i casi totali rispondevano a periodi di radiazione UV particolarmente forte, soprattutto nelle due settimane seguenti al periodo analizzato. “Seguendo questo shock UV, vediamo questo calo nei casi, ma non sappiamo cosa lo provochi. Potrebbe essere che il virus viene disattivato dalla luce ultravioletta, il che suggerirebbe che qualcosa come sterilizzare utilizzando lampade UV potrebbe essere benefico”, spiega Jonathan Proctor, tra gli autori coinvolti nello studio.
Tuttavia, la correlazione tra calo nei casi e aumento della luce ultravioletta non è ancora perfettamente chiara: Proctor suggerisce che potrebbero essere connessi diversi tipi di reazioni. Per esempio, quando c’è più sole, le persone socializzano all’aria aperta e si sa che SARS-CoV-2 si diffonde meno facilmente all’esterno che all’interno. Il calo potrebbe derivare anche da un effetto immunologico in cui la produzione di vitamina D stimola il sistema immunitario, spiega l’esperto. Proctor afferma che tra tutti i fattori ambientali, incluse umidità e temperatura, la radiazione UV della luce solare si è dimostrata essere un forte driver dell’influenza della stagionalità sulla trasmissione di SARS-CoV-2. Nello studio, i ricercatori fanno notare che gli effetti di temperatura e umidità si sono rivelati statisticamente insignificanti.
Dopo aver raggiunto il minimo di luce solare nell’emisfero settentrionale nel giorno del solstizio d’inverno del 21 dicembre, i giorni con una maggiore luce solare sono solo a due mesi di distanza. Il punto di aumento più rapido nell’intensità del sole, così come nella durata del giorno, inizia intorno al momento dell’equinozio di primavera, che nel 2021 si verifica il 20 marzo.
In maniera simile, altri studi si sono concentrati sull’importanza della luce solare con un focus sulla produzione di vitamina D. Uno studio irlandese pubblicato lo scorso aprile riporta che pochi gradi di latitudine potrebbero determinare la gravità con cui SARS-CoV-2 colpisce l’individuo. Il motivo ha a che fare con preesistenti carenze di vitamina D nelle persone che vivono nelle località più settentrionali, che naturalmente sono esposte ad una luce solare che è minore e meno intensa. Queste carenze di vitamina D, soprattutto negli adulti più anziani e vulnerabili, ma anche nelle persone obese e clinicamente predisposte, hanno portato ad un tasso di mortalità più alto nei Paesi sopra i 35° di latitudine nord.
“Essenzialmente, quello che abbiamo scoperto è che la radiazione UV aveva il segnale più forte e notevole” tra i vari fattori ambientali “e quello che abbiamo scoperto è che dopo una giornata di sole, si vedono tassi di crescita ridotti nelle due settimane e mezzo seguenti”, afferma Proctor.
In ogni caso, l’esperto sottolinea che aspettare il ritorno di una maggiore luce solare, da sola, non sarà una buona pratica di mitigazione. Le semplici pratiche igieniche che le autorità sanitarie ci ripetono da ormai un anno rimangono le prime armi con cui combattere questa pandemia, soprattutto nei mesi invernali quando l’ambiente non aiuta. “Il COVID è davvero difficile e semplice allo stesso tempo. Bisogna continuare a fare le cose essenziali. Indossare la mascherina. Se bisogna incontrare qualcuno, meglio farlo all’aperto”, conclude Proctor.